Lotta Continua luglio 1970 Parola di Amati

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Giudice Istruttore Antonio Amati

L’accoglimento della richiesta di archiviazione dell’inchiesta su Pinelli da parte del famoso giudice Amati, ed il rinvio del processo Calabresi-Lotta Continua, previsto per luglio e rinviato poi alla seconda metà di settembre sono il risultato delle ultime settimane di lavoro della magistratura milanese.

Ora i giudici, che quest’anno hanno lavorato parecchio, se ne possono finalmente partire chi ai monti chi al mare: le cose sono state esattamente predisposte per l’autunno, quando la giustizia sarà rientrata dalle ferie.

L’inchiesta sul «caso Pinelli» (il caso veramente c’entra poco con la sua morte) ed il processo a Lotta Continua sono come si sa due vicende tra loro collegate; era necessario arrivare prima all’archiviazione per andare poi, con tutta calma e con una smemorata estate di mezzo, al processo contro Lotta Continua: La firma del noto giudice Amati in calce al provvedimento di archiviazione anticipa infatti e precostituisce  per così dire, l’esito del processo: se Pinelli si è suicidato, come sostiene Amati, vuol dire che non è stato ammazzato; dunque, le accuse rivolte da noi ai dirigenti della questura milanese, ed in particolare al commissario Calabresi che condusse 1’«interrogatorio», non possono che essere gratuite diffamazioni. Tutto chiaro quindi.

Peccato soltanto che per arrivare a questa conclusione il dotto Amati sia stato costretto ad arrampicarsi sugli specchi per ben 55 pagine dattiloscritte, e a sconfessare clamorosamente persino la motivazione di archiviazione proposta dal giudice Caizzi (che ha condotto l’istruttoria): se Caizzi parlava infatti pilatescamente di «morte accidentale», il valoroso giudice Amati torna alla tesi del suicidio che, come del resto anche l’omicidio, ha ben poco di «accidentale».

Su questo punto vale la pena di soffermarsi un momento.

Il ritorno alla famigerata tesi del questore Guida, necessario per tentare di scagionare fino in fondo la polizia, è parecchio avventuroso, se si pensa che la spiegazione fornita dal questore la notte dell’assassinio di Pinelli («…si era visto incastrato, il suo alibi era crollato, il suo gesto equivale a un’autoaccusa, al suo posto io avrei fatto lo stesso …») si è nel frattempo dimostrata un falso grottesco, degno solo di un ex-secondino di Ventotene.

È a questo punto che Amati deve chiamare a soccorso tutta la sua dottrina per mantenere la tesi del suicidio senza però accreditare di nuovo le vecchie menzogne di Guida; così veniamo a sapere che per togliersi la vita non occorre nessun motivo particolare, come la casistica e la dottrina ampiamente citata ci verrebbero a dimostrare.

Pinelli quindi si è suicidato, ma non perchè «il suo alibi era crollato», non perchè «si era visto incastrato», bensì perchè «colto da raptus suicida».

Non è convincente? Il «raptus suicida» è una cosa che, se ti coglie, ti butti dalla finestra. Non importa se hai un alibi di ferro, non importa se Calabresi non è riuscito a incastrarti, o se magari l’hai incastrato tu: ti prende il raptus, e ti getti.

Tra l’altro veniamo a sapere che a Pinelli il raptus gli era già preso il giorno prima, la domenica a mezzogiorno: questa la sensazionale rivelazione che ci fa il giudice Amati: Pinelli aveva già tentato di uccidersi prima ancora di sapere della incriminazione di Valpreda.

Per fortuna l’agente Perrone, autista di Calabresi; passa proprio in quel momento davanti all’ufficio del suo padrone, dove si trova Pinelli, vede che l’anarchico si sta gettando, riesce ad afferrarlo in tempo e ad «impedire così l’insano gesto».

Il raptus scompare poi nel pomeriggio, Pinelli torna normale, incontra la moglie e la madre alle quali appare sereno e calmissimo, come apparirà ancora il giorno seguente al teste che si reca in questura a convalidare il suo alibi. Ma ecco che, a mezzanotte del lunedì, durante una pausa dell’interrogatorio torna improvviso il raptus suicida, Pinelli si alza dalla sedia, va verso la finestra, si getta; il brigadiere Panessa, che cerca di trattenerlo, è più sfortunato del collega Perrone: in mano gli resta solo una scarpa, anzi un’impressione di scarpa.

Questa è in sintesi la tesi di Amati. Commentarla è superfluo: sappiamo chi è Amati, conosciamo il suo valore, la sua dottrina, il suo infaticabile zelo.

È lui l’uomo che gestisce le istruttorie di una buona parte delle numerose bombe scoppiate da due anni a questa parte a Milano.

È lui che sistematicamente le attribuisce agli anarchici, a dispetto delle prove, degli indizi, del senso comune.

È lui che, a mezz’ora dalla strage di Piazza Fontana, con istinto sicuro indirizza verso gli anarchici le indagini della polizia, che peraltro già si muoveva autonomamente in quel senso, grazie all’istinto altrettanto sicuro di un Calabresi.

È lui infine che, colto da un raptus di attivismo già nelle settimane che precedono le bombe, convoca da diverse città, per diverse ragioni, una serie di persone tra cui sono sia Valpreda che uno dei suoi tanti sosia, cosicchè entrambi si verranno a trovare, per una simpatica coincidenza, a Milano il giorno della strage.

Chi dunque poteva decidere come e quando archiviare il «caso» Pinelli meglio dell’ex Uff. della Benemerita, giudice Antonio Amati?

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Una Risposta to “Lotta Continua luglio 1970 Parola di Amati”

  1. Giornale Lotta Continua « 12 dicembre 1969 – Strage di Stato Says:

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