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A Rivista Anarchica N11 Marzo 1972 Giustizia di stato di E. M.

17 settembre 2011

Sin dalle prime battute il processo Valpreda ha rivelato la trama di responsabilità – Una prima clamorosa conferma è venuta dal riconoscimento di incompetenza di Roma.

Con il suo comportamento sereno, calmo e responsabile, il giudice Falco tentava di accreditare la tesi secondo la quale a Roma si doveva svolgere un processo che doveva finalmente far luce sulla strage di Piazza Fontana o, quanto meno, sulla responsabilità di Pietro Valpreda e degli altri aderenti al circolo 22 Marzo, “in ordine” agli attentati del 12 dicembre.

Tutto il peso della credibilità che si voleva dare al processo poggiava però sulle sue sole spalle, in quanto gli altri personaggi coinvolti nella vicenda già si erano tolti i panni della farsa.

A cominciare dalla Procura di Roma che si è vista accusare di rapina di atti di procedimento istruttorio nei confronti della Procura di Milano, con argomentazioni difficilmente confutabili (tra le quali la lettera di Ugo Paolillo, in cui il magistrato democratico, che a Milano stava conducendo correttamente le indagini, conferma che gli fu letteralmente impedito di procedere ad un confronto fra Rolandi e Rachele Torri, zia di Valpreda… P.S. e C.C. gli comunicarono che Rolandi “era irreperibile” mentre lo stesso, a casa sua, rilasciava interviste a tutti i giornalisti).

Occorsio ha capito subito che l’accusato è lui e lo ha dimostrato scaricando le sue responsabilità sul collega Cudillo.

Gli avvocati più decisi e più lucidi della difesa hanno, a loro volta, individuato direttamente in Occorsio il principale imputato e nella sua istruttoria il vero “delitto”.

E così il ruolo di Falco, il “consulente politico” chiamato a difendere entrambi, non è sfuggito a nessuno.

Da parte sua, Valpreda ha dimostrato di sapere che la sua sorte non può essere legata alla clamorosa ed assoluta inconsistenza degli indizi a suo carico, bensì alla dimostrazione e alla verifica degli indizi, ben più consistenti, a carico di Occorsio.

La bizzarra situazione dipendeva dal fatto che tutti coloro che, come Falco, conoscevano gli atti dell’istruttoria, erano giunti alla stessa conclusione; con le bombe, né Valpreda né il 22 Marzo hanno nulla a che fare.

Non a caso solo “Lo Specchio“, il “Secolo d’Italia” e simili sostengono ancora, con poca convinzione, la colpevolezza di Valpreda. Non a caso il “Corriere della Sera” da mesi riporta notizie “asettiche” sul caso e non azzarda giudizi.

Allora dobbiamo subito spazzare via l’idea che in questo processo si stia giudicando Valpreda. Come gli attentati del dicembre ’69 facevano parte di un preciso disegno politico, così l’istruttoria che ne è seguita ed il processo che è in atto non sono che la continuazione dello stesso disegno. Questo processo deve essere inteso come parte integrante e conclusiva della strategia del terrorismo che nel ’69 è servita per fermare le lotte dell’autunno.

L’istruttoria di Occorsio

L’asse centrale del processo è l’istruttoria di Occorsio, costruita pezzo per pezzo per essere funzionale alla trama politica da cui è scaturita.

Ad Occorsio, coinvolto fino all’inverosimile nella vicenda della strage, lo stato ha affidato la gestione giuridica dell’accusa a Valpreda; a Falco, l’uomo del momento, sacerdote della forma e della regolarità della legge, il compito di circoscrivere gli attacchi della difesa affinché non entrino nel terreno pericoloso delle “Istituzioni” e dei contenuti politici.

Costretto a scoprire le carte Occorsio ha rivelato la sua singolare povertà di spirito ricorrendo alle più squallide e scontate delle ipotesi:

a) “Merlino è un elemento provocatore che si è inserito nel gruppo allo scopo di istigare gli aderenti al 22 Marzo a compiere gli attentati”.

b) “Questa corte è chiamata a giudicare questi imputati non perché si qualificano anarchici ma soltanto per quello che noi addebitiamo a loro di aver fatto. Noi non crediamo affatto che questi imputati possano confondersi con il movimento anarchico tradizionale… non lo abbiamo mai detto e non lo diremo mai”.

C’è tutto, gli opposti estremisti, gli anarco-fascisti, la salvezza del movimento anarchico “tradizionale” (?), ecc.

Con questa miserabile ipotesi Occorsio ha cercato, come sempre ha fatto di isolare Valpreda dagli anarchici, dalla politica, da tutto. Ma cosa crede Occorsio, di essere lui a sindacare se Valpreda è o non è anarchico? Crede che gli anarchici siano proprio disposti a buttare a mare Valpreda come i suoi “superiori” forse faranno con lui ora che ha dimostrato di non essere stato tecnicamente capace di mantenere il processo entro i binari che erano stati pazientemente preparati da altri? Valpreda non “si confonde” con il movimento anarchico. Valpreda è anarchico da almeno 10 anni. Sappiamo già a cosa Occorsio si attaccherà per dimostrare che Valpreda non è anarchico, ma sapremo rispondergli al momento opportuno.

Falco non è meglio di Occorsio. Falco è una muraglia contro la verità e lo ha dimostrato rifiutando in blocco il dossier che accusa i fascisti e contiene elementi importantissimi sulla strage, che la Magistratura di Milano ha inviato alla Corte d’Assise di Roma perché fosse allegato agli atti del processo. Dal canto suo Occorsio ha detto che se quei documenti venissero accolti, lui non li leggerebbe! C’è materiale più che sufficiente per una incriminazione per sottrazione di indizi e inadempienza professionale.

È in questa logica che il processo si era iniziato ed era solo in questa logica che, nell’aula Magna di Piazzale Clodio, tutta forma e tradizione, moquette ed ermellini, si tentava di dar credito al mito miserabile di una giustizia che ha sulla coscienza la violenza brutale del carcere, i quaranta giorni di isolamento, gli interrogatori bestiali di Valpreda, le minacce ed i ricatti ai testi “scomodi”, i falsi ed i morti dell’istruttoria, la repressione anti-operaia del ’69, l’anno delle bombe, e di oggi.

La “giustizia” ed i suoi uomini…, si arrogano il diritto di giudicare i loro stessi misfatti. Questa giustizia ha già comminato ad anarchici innocenti oltre venti anni di carcere preventivo, dal ’69 ad oggi, per proteggere i veri responsabili del terrorismo e per sfamare l'”ingorda borghesia” con anarchici “colpevoli”. Noi diciamo che questa giustizia non ha credito, né tanto meno diritti.

I mandanti…

CIA? Colonnelli greci? Fascisti nostrani? Può darsi, ma non sono i veri mandanti; sono consulenti e specialisti.

I social-fascisti del PSDI, i moderati, i benpensanti, gli schiavi dell’ordine stabilito sono i mandanti di Occorsio, di Cudillo, di Amati e della strage.

Se da una parte dobbiamo smascherare gli individui che a livello “professionale” organizzano il crimine politico, dall’altra non dobbiamo dimenticare l’incredibile numero di elettori, sostenitori, collaboratori, borghesi, grandi borghesi, piccoli borghesi, Dio, Patria e Famiglia, e chi più ne ha più ne metta, che a questa gente affida al mantenimento dei loro interessi di piccoli e grandi privilegiati che si nascondono dietro una “onesta vita” di padroni, timorati del sistema.

Costoro saranno sempre pronti, quando le cose si mettessero male, a considerare Occorsio e compari come una spiacevole eccezione, la strage come risultato di una disfunzione politica, Pinelli come la vittima di un increscioso incidente imputabile al massimo a qualche poliziotto.

La difesa

Quando il processo di Roma ebbe inizio, non si pose il problema se il processo dovesse essere “tecnico” o “politico” anche se era evidente che il modo di procedere dei difensori era legato al loro giudizio politico complessivo.

In realtà si è sempre trattato di scegliere se accettare o rifiutare i presupposti stessi del processo, se stare o non stare al “gioco” della giustizia. Se considerare l’istruttoria e le sue conclusioni come un errore giudiziario che, in quanto tale, non intacca la fiducia nella giustizia e nel suo funzionamento, o rifiutare ogni credibilità a questa giustizia affrontando il processo come un processo politico dove la posta in gioco non è solo l’assoluzione dei compagni e dove l’assoluzione dei compagni coincide con la condanna dei magistrati inquirenti ed è inscindibile da questa, perché Occorsio, Amati, Cudillo, i loro simili e le stragi, non sono eccezioni, disfunzioni ed incidenti in uno “stato di diritto”, ma sono “lo stato di diritto”, ne fanno parte integrante e continuativa, sono la struttura portante che, sotto la maschera delle pretese “garanzie costituzionali”, regge il privilegio, la disuguaglianza e lo sfruttamento.

Ed è chiaro che noi siamo soltanto su questa linea, quella che in aula è stata portata avanti dagli avvocati Spazzali, Piscopo, La Torre, Di Giovanni, Ventre.

Non possiamo invece condividere il continuo atteggiamento “legalitario” di fiducia che sembrano nutrire altri difensori come Lombardi e Sotgiu (avvocati di Valpreda) ed in generale gli avvocati così detti “parlamentari” nei confronti dell’imparzialità della legge e della giustizia.

Non possiamo condividere questa cieca fiducia che a un altro difensore “parlamentare”, Calvi, fece dire che la sentenza di Occorsio era una “sentenza onesta”, e se non bastassero i nostri motivi politici di fondo, ad essi viene oggi ad aggiungersi la deliberazione della corte di Assise di Roma che ha deciso il trasferimento del dibattimento alle Assise di Milano. Con tale deliberazione i giudici della corte di Assise di Roma, hanno smascherato, per superiori motivi politici e quindi soltanto in parte, la trama pazientemente preparata dalla stessa magistratura così come dalla grossa stampa fascista e borghese, dalla polizia così come dalla classe politica.

Il mattone rovente

Dopo nove ore di seduta in camera di consiglio per deliberare sulle eccezioni avanzate dalla difesa, la corte di Assise di Roma si è tolta di mano il mattone troppo scottante che Cudillo e Occorsio avevano preparato, e lo ha passato alla corte di Assise di Milano.

Tale decisione che a prima vista può esser interpretata solo come una vittoria della difesa dei compagni arrestati, sancisce in verità la sconfitta di Occorsio e la dipendenza della magistratura dal potere politico. Infatti, dopo lo scardinamento di tutta la fase istruttoria effettuato dalla difesa “politica”, istruttoria rappresentata in aula da Vittorio Occorsio, ci si attendeva ben altro dalla corte, ci si attendeva cioè che tutta l’istruttoria venisse dichiarata non valida e che alla ricusazione formale di Occorsio facesse seguito la ricusazione di tutta la montatura dell’accusa che, firmata da Vittorio Occorsio, ha portato i compagni anarchici sul banco degli imputati.

Ma purtroppo, nove ore prima che “l’imparziale” Orlando Falco facesse conoscere la sentenza della corte, negli ambienti del Viminale si conosceva già quale sarebbe stata la sentenza che tale corte avrebbe emesso, ed è allora nell’ambiente nel quale tale voce circolava con nove ore di anticipo, che ancora una volta va ricercata ed inquadrata la tanto sbandierata apoliticità di certa magistratura italiana.

Al Viminale, crollato miserabilmente il mito Occorsio sotto gli attacchi della difesa “politica”, non restava che sbarazzarsi della vicinanza di un procedimento che dava fastidio al carrozzone elettorale che sta per mettersi in moto. Non si poteva permettere che i comizi politici venissero turbati dalle accuse anarchiche, da questi anarchici che oltre a non mettere le bombe, accusano addirittura lo stato di essere il mandante e l’esecutore della strage di piazza Fontana. L’unica via di uscita che si presentava era buttare a mare un uomo che dopo aver pazientemente costruita un’accusa servendosi soltanto di falsi, aveva chiaramente dimostrato, sin dalle prime battute del processo, di non essere tecnicamente capace di sostenere tale accusa il giorno che si trovò di fronte non più delle donne, ma un’opinione pubblica nazionale ed internazionale.

Ufficializzate con la sua delibera le voci che circolavano con nove ore di anticipo all’interno del Viminale, la corte di Assise di Roma aveva adempiuto al proprio compito.

Il Viminale non poteva permettere, e la corte di Assise di Roma non poteva ufficializzare che, a due mesi dalle elezioni gli anarchici venissero dichiarati implicitamente innocenti e lo stato colpevole di falso continuato messo in atto per coprire i reali responsabili della strage di piazza Fontana, perché è a questo risultato politico che avrebbe condotto la ricusazione di tutta l’istruttoria sulla strage.

Al Viminale si è scelta la strada che può permettere, in qualche modo, di portare a termine senza eccessivi batticuori la presente campagna elettorale.

Ai compagni accusati si è lasciato il diritto di godere dei vantaggi che le patrie galere offrono ai loro ospiti. Restano invece a piede libero Amati, Occorsio, Cudillo, Calabresi, Guida, Restivo, Saragat.

 di E. M.

***

 Processo popolare

I riformisti considerano il “caso Valpreda” un caso individuale, o tuttalpiù un caso della sinistra rivoluzionaria, spina fastidiosa nel fianco della sinistra parlamentare. Nulla pertanto essi faranno per rovesciare sulla borghesia la responsabilità della strage di Stato.

Per la sinistra rivoluzionaria, invece, il caso Valpreda è il caso della classe operaia e del movimento popolare, perché è anche attraverso di esso che la borghesia si è proposta di bloccare la ribellione degli sfruttati.

Spetta pertanto alle forze rivoluzionarie promuovere una forte mobilitazione per mettere sotto accusa lo stato e le sue istituzioni, la classe degli oppressori e i loro servi e per portare sul banco degli imputati dinnanzi alla classe operaia, al movimento popolare, i veri e unici responsabili della strage e del clima di terrore che l’ha preceduta e seguita.

Per questo si sta organizzando un processo popolare che costituisca un primo passo verso l’acquisizione del diritto al giudizio da parte dei proletari.

Il raggiungimento dell’autonomia proletaria passa anche attraverso l’autonomia del giudizio, premessa indispensabile per l’acquisizione della coscienza rivoluzionaria.

Gli obiettivi fondamentali del processo popolare sono:

a) difendere Valpreda trasformando il “caso” individuale o di gruppo nel “caso politico” della classe operaia;

b) dimostrare che Valpreda è innocente e che la borghesia italiana porta la responsabilità politica della strage di Stato;

c) stabilire il grado delle responsabilità complessive più che determinare con esattezza gli esecutori materiali della strage;

d) denunciare la pesante responsabilità dei vertici della sinistra ufficiale che ha chiuso gli occhi davanti al “caso” e lo ha barattato come ha barattato lo spirito di rivolta della classe operaia con un disegno di potere in alleanza con la grande borghesia italiana;

e) chiarire sino in fondo che a Roma non si decide solo la sorte di Pietro Valpreda. Con la sua condanna la classe dominante si propone di porre un suggello alla gestione politica che essa ha fatto della strage e intensificare la stretta repressiva contro il movimento popolare;

f) denunciare il legame esistente con le altre provocazioni che le classi dominanti hanno sviluppato a livello internazionale.

DUNQUE, IL PROCESSO POPOLARE NON SARÀ UN PROCESSO ALTERNATIVO A QUELLO FORMALE: ESSO SARÀ TUTTO QUELLO CHE IL PROCESSO FORMALE NON POTRÀ ESSERE.

Del tribunale popolare faranno parte due giurie: una, internazionale, formata da persone note per il loro impegno di rivoluzionari e militanti democratici, l’altra, popolare, della quale faranno parte operai, abitanti di quartieri, ecc.

Esse avranno a disposizione gli atti del processo “formale” Valpreda e dei processi ad esso connessi (25 aprile, fascisti di Treviso, M.A.R., processo Pinelli, ecc.) per unificare in un quadro omogeneo tutti quei procedimenti che la magistratura ha tentato, non a caso, di dividere.

In più il processo popolare avrà a disposizione il materiale che i gruppi di contro-informazione hanno raccolto in questi anni.

In stretto collegamento con il processo formale, il processo popolare si articolerà in numerose udienze, tenute in diverse città e in luoghi adatti ad accogliere la più larga partecipazione popolare.

Ogni militante che partecipa al processo popolare è parte attiva, e in causa, in quanto il quadro politico che emerge dal processo offrirà gli elementi per collocare la sua esperienza specifica di fabbrica, di scuola, di quartiere nella generale azione repressiva che lo stato ha scatenato, con la strage, contro i proletari.

Di conseguenza, affinché questa iniziativa si realizzi in forma incisiva sulla realtà, è necessario un impegno militante di tutti i compagni rivoluzionari di partecipazione e di intervento nel processo popolare.

 La strage di stato: uno scandalo internazionale

a cura della Redazione

I fumetti del noto cartoonist Wolinski che riproduciamo in questa pagina sono tratti da “Charlie Hebdo“, supplemento settimanale di “HARA-KIRI”, con una tiratura di centomila copie. La “strage di stato” è dunque oggetto di satira politica anche all’estero. Lo scandalo ha passato le frontiere. La stampa internazionale, in effetti, ha dato molto spazio alle prime (ed ultime) battute del processo Valpreda, attribuendogli un’importanza che supera ampiamente quella generalmente attribuita alle vicende locali.

Dunque, benchè le porcherie poliziesco-giudiziarie non siano certamente una specialità esclusiva italiana, tutta la faccenda delle bombe del ’69, dell’istruttoria di Occorsio, dell’assassinio di Pinelli, della strage dei testimoni, ecc., è di tale brutalità, grossolanità, stupidità da suscitare l’indignazione a livello internazionale.

Indignazione e fumetti a parte, il movimento anarchico, per quanto è nelle sue possibilità, si sta dimostrando all’altezza del suo tradizionale internazionalismo, intensificando il suo impegno in vista della scadenza processuale.

In Svezia, accanto ai gruppi anarchici s’è mossa la S.A.C., il sindacato di tendenza libertaria, che ha inviato a tutti i lavoratori italiani il documento “La strage di stato voluta dai padroni“. Il 23 febbraio, per l’inizio del processo Valpreda, s’è svolta a Stoccolma una manifestazione che si è conclusa con un sit-in davanti all’ambasciata italiana.

In Francia le organizzazione anarchiche hanno promosso dibattiti e volantinaggi in tutti i principali centri. è stato doppiato il filmato Pinelli, che è già stato proiettato in decine di località.

In Inghilterra è stato stampato e diffuso in migliaia di copie un opuscolo sulle bombe del 12 dicembre. A Londra, alle due manifestazione sinora organizzate hanno partecipato migliaia di giovani.

In Germania, oltre a contro-informare l’opinione pubblica tedesca, si sta organizzando una campagna di controinformazione tra gli emigranti italiani.

Con la sospensione del processo lo scandalo continua…

Umanità Nova 19 febbraio 1972 La difesa attacca Falco

30 aprile 2011

Se si fosse trattato di un delitto comune non c’è dubbio che l’inchiesta sulla strage del 12 dicembre ’69 – data l’assoluta e clamorosa inconsistenza degli elementi d’accusa – non avrebbe trovato alcun giudice disposto a richiedere il rinvio a giudizio degli indiziati.

Ci troviamo di fronte alla criminale montatura per il più efferato delitto di Stato dell’ultimo ventennio ed una irremovibile quanto spietata volontà politica che, nel caso specifico, si identifica in una precisa « ragion di Stato» ha trovato disposti a tutto gli strumenti necessari per portare avanti, fino alle estreme conseguenze, il disegno infame con il quale si è tentato di strangolare il Movimento.

Se nel gruppo di Valpreda, eterogeneo ed autoemarginato, gli organizzatori degli attentati e gli inquirenti – con sospetto tempismo e unità di intenti e di azione – avevano scovato gli assassini «ideali », coloro che « dovevano» essere contro ogni logica ed ogni evenienza offerti al linciaggio dell’opinione pubblica come gli esecutori della strage, in un ben determinato gruppo di magistrati – la cui fedeltà al sistema, spinta al fanatismo, era stata precedentemente collaudata in numerosi procedimenti repressivi contro presunti (o reali). nemici della « democrazia» – fu facile trovare gli elementi adatti per sostenere l’assurda-montatura dell’accusa.

Nessun dubbio che una precisa volontà politica ha strappato alla magistratura milanese un’inchiesta ed un processo che le competevano. Da quel .momento ci apparve chiaro il ruolo che una certa magistratura romana era -chiamata a svolgere nella vicenda e fummo in grado di prevedere e di scrivere su questo giornale che il processo sarebbe stato affidato a Falco. Questo dimostra che il sistema è sempre in grado di gestire le faccende che lo riguardano nel modo che gli è più conveniente.

Le oscure contorsioni giuridiche che portarono alla ricusazione di -Biotti nel processo Baldelli-Calabresi, senza dilungarsi sul ruolo determinante svolto dal giudice Amati in tutta la montatura antianarchica, stanno a comprovarlo. Ma se ciò è vero, se siamo (e lo siamo) convinti che la «giustizia» è amministrata dallo Stato sempre e solo in difesa della classe egemone, padronale e sfruttatrice che esso sempre, sotto qualsiasi bandiera, rappresenta e difende, allora è evidente che le scelte degli strumenti che debbono applicare questo tipo di «giustizia» sono legate ad un meccanismo che ne garantisce a priori la assoluta fedeltà.

E’ per questo che a noi la mentalità del giudice e la personalità dell’uomo Falco ci interessano nella misura in cui ci aiutano a capire di quali deformazioni psichiche, professionali può essere oggetto un individuo preposto ad una determinata funzione.

Sì, lo sappiamo, Falco, è stato accusato di aver condotto il processo Braibanti con astio preconcetto ed ossessivo contro le idee … «anarchicheggianti» dell’imputato, in un marasma di «abusi, violazioni, irregolarità, miserabili astuzie, illegalità varie, compiute sia nella fase istruttoria che in quella dibattimentale». Per il processo Braibanti si è parlato di «ignobile linciaggio» di «processo aberrante». Ma a che serve scandalizzarsi sul serio se la funzione del giudice, soprattutto nei procedimenti a sfondo politico, è legata alle esigenze del potere costituito?

Non abbiamo dimenticato i tribunali fascisti e soprattutto non dimentichiamo che la logica a cui l’amministrazione della «giustizia» di Stato risponde è sempre ed ovunque la stessa. Per noi Falco od un altro qualsiasi giudice è lo stesso. La nostra sfiducia nella giustizia di Stato è totale, non si perde in scelte assurde ed insignificanti; rifiutiamo il sistema e qualsiasi corso giudiziario verrà dato al processo e qualsiasi sentenza da esso scaturirà non avrà nulla a che fare con le nostre aspirazioni sociali e le nostre idee sulla giustizia.

E’ con questa premessa che pubblichiamo qui di seguito un documento di alcuni avvocati della difesa.

Il documento

Il dottor Orlando Falco è stato il presidente della Corte di assise di Roma elle il 14 luglio 1968 emise sentenza contro Aldo Braibanti. Condannandolo per il reato di plagio alla pena di 9 anni di reclusione e dichiarandolo tra l’altro interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Il dottor Orlando Falco è anche stato l’estensore della motivazione di quella sentenza depositata il 30.12.1968, il cui testo è di pubblico dominio perché fu pubblicata negli «Atti». Dello editore De Donato.

In quella sentenza, Falco più volte sottolinea che nel processo Braibanti non sono state giudicate le idee dello imputato ma le sue azioni; principio che, così enunciato, difficilmente potrebbe essere ritenuto errato. Ma altrettante volte egli si compiace di esprimersi sulle idee dell’imputato, giudicandole del tutto negative, e; in quanto eversive, degne di pesanti considerazioni. Più volte inoltre si ripete che comunque le idee (quelle idee) sono state lo strumento idoneo per compiere un’opera testualmente definita diabolica, di asserita violentazione della personalità della parte lesa.

Un esempio (le citazioni testuali sono tolte dal volume): «… Idee che rivelano anomia, ripudio dei valori sociali comuni e dei valori ideali tradizionali, rinnegamento totale della scuola e della famiglia, dell’etica e dello Stato …(pag, 129). Ancora: « Non è negabile che un certo tipo di cultura… (possa) fungere da concausa materiale di evento penalmente apprezzabile e proibito» (ibid). E poi: «…Distruggere ogni tessuto morale e sommuovere ogni ideale,  ogni valore etico, ogni principio d’ordine … » (pag. 170).

L’ideologia del dottor Falco è dunque quella che si contrappone ad ogni «anomia», ligia ai valori tradizionali di ogni tipo, al principio d’ordine. E sappiamo che per lui, contrariamente a quanto egli sembra affermare altrove, le idee fungono da «concause». Quali erano le idee così aspramente condannate? Eccole a pag. 145 esposte in una forma che non sarà filosoficamente corretta ma che lascia intendere senza equivoco quel che si vuol dire. «.. Le sue idee (di Braibanti) evolvono verso un cosiddetto marxismo marcusianistico» che per il dottor Falco è «in certo modo una tendenza libertaria e individualistica della anarchia». Naturalmente per Falco il pensiero dell’imputato è «pseudofilosofico» ( pagina 167), come non può non essere tutto .quello che diverge dalla «normalità» (termine caro all’estensore della sentenza).

Questo dunque per 1’«anarchia». Ma si veda ancora alla pag. 160, quando il giudice vuole dipingere un quadro efficace dell’imputato diabolico: «E’ preda di sete di potere, di dominio, di rivincita, professa monismo e “anarchismo”, combatte famiglia sociètà e Stato, disprezza la scuola, e la morale, ripudia il conformismo dei più, perché i più sono la gente “fisicamente psichicamente e sessualmente sana, normale”».

In- questi giudizi c’è già tutto l’uomo Orlando Falco, anche senza, bisogno di ricorrere ad altre -citazioni ed anche se sarebbe estremamente interessante riportare qui i giudizi entusiastici che sui principii informatori del codice penale fascista dà questo giudice, sfiorando il grottesco di certi accostamenti ideologici (come ad esempio la persuasione che la migliore lezione di Freud sia stata recepita dal legislatore nel 1930), e tralasciando tutti gli esempi di come i giudizi di valore nella sentenza Braibanti siano sempre ancorati a quelli della più gretta conservazione sociale e ideologica.

Ciò premesso, noi avvocati difensori, nel processo contro Valpreda ed altri credemmo di venir meno a un preciso obbligo della nostra coscienza, anche professionale, nel non denunciare la estrema delicatezza di una situazione che vede ancora il dottor Falco presidente di un processo in cui la ideologia è praticamente tutto, e proprio quella ideologia che già suscitava una guerra senza quartiere al tempo della condanna di Braibanti e della stesura della sentenza. Anzi, la situazione oggi è ancora più grave, perché il processo che si aprirà a Roma il 23 febbraio è un processo indiziario e quindi a maggior ragione influenzato e influenzabile dall’ideologia.

E’ in corso in questi giorni avanti al Tribunale dell’Aquila il processo contro tre giornalisti, tratti sul banco degli imputati per aver espresso le loro opinioni negative sulla ideologia del dott. Falco. Tale iniziativa è la prova di come vengono tenuti in considerazione tanto il diritto di critica da parte di ogni cittadino quanto il diritto di informazione, prerogativa della libera stampa. E’ estremamente preoccupante che principii di questo tipo vengano messi in discussione e in particolare quando vi è coinvolto un alto magistrato a cui è affidato il processo della «strage di Stato», un processo che vede in gioco tutti i cosiddetti valori tradizionali e tutti quelli cosiddetti eversivi, mentre dovrebbe tendere come fine all’accertamento il più serenamente obiettivo e indipendente della verità, della terribile verità che sta sotto il processo.

Né si può dire che altro è l’uomo Falco, col quale ovviamente non abbiamo niente in comune, e altro è il giudice Falco: a parte la grottesca ipocrisia della distinzione, abbiamo dimostrato che il giudice Falco ha almeno il grosso pregio di scrivere ufficialmente quel che gli detta dentro l’uomo Falco. Non è certo senza significato che questo magistrato sia stato chiamato a presiedere il processo Valpreda: un magistrato che si è già chiaramente espresso su alcuni tra i più fondamentali principii ideologici che sono comuni al processo Valpreda. Perciò non consideriamo Falco il magistrato idoneo a presiedere il processo; ciò che ci preme soprattutto è che la opinione pubblica sappia con chiarezza qual è il metodo con cui si amministra la giustizia in Italia.

Luca Boneschi

Sandro Canestrini

Francesco Fenghi

Ferdinando Giacomini

Marco Janni