Umanità Nova 19 febbraio 1972 La difesa attacca Falco

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Se si fosse trattato di un delitto comune non c’è dubbio che l’inchiesta sulla strage del 12 dicembre ’69 – data l’assoluta e clamorosa inconsistenza degli elementi d’accusa – non avrebbe trovato alcun giudice disposto a richiedere il rinvio a giudizio degli indiziati.

Ci troviamo di fronte alla criminale montatura per il più efferato delitto di Stato dell’ultimo ventennio ed una irremovibile quanto spietata volontà politica che, nel caso specifico, si identifica in una precisa « ragion di Stato» ha trovato disposti a tutto gli strumenti necessari per portare avanti, fino alle estreme conseguenze, il disegno infame con il quale si è tentato di strangolare il Movimento.

Se nel gruppo di Valpreda, eterogeneo ed autoemarginato, gli organizzatori degli attentati e gli inquirenti – con sospetto tempismo e unità di intenti e di azione – avevano scovato gli assassini «ideali », coloro che « dovevano» essere contro ogni logica ed ogni evenienza offerti al linciaggio dell’opinione pubblica come gli esecutori della strage, in un ben determinato gruppo di magistrati – la cui fedeltà al sistema, spinta al fanatismo, era stata precedentemente collaudata in numerosi procedimenti repressivi contro presunti (o reali). nemici della « democrazia» – fu facile trovare gli elementi adatti per sostenere l’assurda-montatura dell’accusa.

Nessun dubbio che una precisa volontà politica ha strappato alla magistratura milanese un’inchiesta ed un processo che le competevano. Da quel .momento ci apparve chiaro il ruolo che una certa magistratura romana era -chiamata a svolgere nella vicenda e fummo in grado di prevedere e di scrivere su questo giornale che il processo sarebbe stato affidato a Falco. Questo dimostra che il sistema è sempre in grado di gestire le faccende che lo riguardano nel modo che gli è più conveniente.

Le oscure contorsioni giuridiche che portarono alla ricusazione di -Biotti nel processo Baldelli-Calabresi, senza dilungarsi sul ruolo determinante svolto dal giudice Amati in tutta la montatura antianarchica, stanno a comprovarlo. Ma se ciò è vero, se siamo (e lo siamo) convinti che la «giustizia» è amministrata dallo Stato sempre e solo in difesa della classe egemone, padronale e sfruttatrice che esso sempre, sotto qualsiasi bandiera, rappresenta e difende, allora è evidente che le scelte degli strumenti che debbono applicare questo tipo di «giustizia» sono legate ad un meccanismo che ne garantisce a priori la assoluta fedeltà.

E’ per questo che a noi la mentalità del giudice e la personalità dell’uomo Falco ci interessano nella misura in cui ci aiutano a capire di quali deformazioni psichiche, professionali può essere oggetto un individuo preposto ad una determinata funzione.

Sì, lo sappiamo, Falco, è stato accusato di aver condotto il processo Braibanti con astio preconcetto ed ossessivo contro le idee … «anarchicheggianti» dell’imputato, in un marasma di «abusi, violazioni, irregolarità, miserabili astuzie, illegalità varie, compiute sia nella fase istruttoria che in quella dibattimentale». Per il processo Braibanti si è parlato di «ignobile linciaggio» di «processo aberrante». Ma a che serve scandalizzarsi sul serio se la funzione del giudice, soprattutto nei procedimenti a sfondo politico, è legata alle esigenze del potere costituito?

Non abbiamo dimenticato i tribunali fascisti e soprattutto non dimentichiamo che la logica a cui l’amministrazione della «giustizia» di Stato risponde è sempre ed ovunque la stessa. Per noi Falco od un altro qualsiasi giudice è lo stesso. La nostra sfiducia nella giustizia di Stato è totale, non si perde in scelte assurde ed insignificanti; rifiutiamo il sistema e qualsiasi corso giudiziario verrà dato al processo e qualsiasi sentenza da esso scaturirà non avrà nulla a che fare con le nostre aspirazioni sociali e le nostre idee sulla giustizia.

E’ con questa premessa che pubblichiamo qui di seguito un documento di alcuni avvocati della difesa.

Il documento

Il dottor Orlando Falco è stato il presidente della Corte di assise di Roma elle il 14 luglio 1968 emise sentenza contro Aldo Braibanti. Condannandolo per il reato di plagio alla pena di 9 anni di reclusione e dichiarandolo tra l’altro interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Il dottor Orlando Falco è anche stato l’estensore della motivazione di quella sentenza depositata il 30.12.1968, il cui testo è di pubblico dominio perché fu pubblicata negli «Atti». Dello editore De Donato.

In quella sentenza, Falco più volte sottolinea che nel processo Braibanti non sono state giudicate le idee dello imputato ma le sue azioni; principio che, così enunciato, difficilmente potrebbe essere ritenuto errato. Ma altrettante volte egli si compiace di esprimersi sulle idee dell’imputato, giudicandole del tutto negative, e; in quanto eversive, degne di pesanti considerazioni. Più volte inoltre si ripete che comunque le idee (quelle idee) sono state lo strumento idoneo per compiere un’opera testualmente definita diabolica, di asserita violentazione della personalità della parte lesa.

Un esempio (le citazioni testuali sono tolte dal volume): «… Idee che rivelano anomia, ripudio dei valori sociali comuni e dei valori ideali tradizionali, rinnegamento totale della scuola e della famiglia, dell’etica e dello Stato …(pag, 129). Ancora: « Non è negabile che un certo tipo di cultura… (possa) fungere da concausa materiale di evento penalmente apprezzabile e proibito» (ibid). E poi: «…Distruggere ogni tessuto morale e sommuovere ogni ideale,  ogni valore etico, ogni principio d’ordine … » (pag. 170).

L’ideologia del dottor Falco è dunque quella che si contrappone ad ogni «anomia», ligia ai valori tradizionali di ogni tipo, al principio d’ordine. E sappiamo che per lui, contrariamente a quanto egli sembra affermare altrove, le idee fungono da «concause». Quali erano le idee così aspramente condannate? Eccole a pag. 145 esposte in una forma che non sarà filosoficamente corretta ma che lascia intendere senza equivoco quel che si vuol dire. «.. Le sue idee (di Braibanti) evolvono verso un cosiddetto marxismo marcusianistico» che per il dottor Falco è «in certo modo una tendenza libertaria e individualistica della anarchia». Naturalmente per Falco il pensiero dell’imputato è «pseudofilosofico» ( pagina 167), come non può non essere tutto .quello che diverge dalla «normalità» (termine caro all’estensore della sentenza).

Questo dunque per 1’«anarchia». Ma si veda ancora alla pag. 160, quando il giudice vuole dipingere un quadro efficace dell’imputato diabolico: «E’ preda di sete di potere, di dominio, di rivincita, professa monismo e “anarchismo”, combatte famiglia sociètà e Stato, disprezza la scuola, e la morale, ripudia il conformismo dei più, perché i più sono la gente “fisicamente psichicamente e sessualmente sana, normale”».

In- questi giudizi c’è già tutto l’uomo Orlando Falco, anche senza, bisogno di ricorrere ad altre -citazioni ed anche se sarebbe estremamente interessante riportare qui i giudizi entusiastici che sui principii informatori del codice penale fascista dà questo giudice, sfiorando il grottesco di certi accostamenti ideologici (come ad esempio la persuasione che la migliore lezione di Freud sia stata recepita dal legislatore nel 1930), e tralasciando tutti gli esempi di come i giudizi di valore nella sentenza Braibanti siano sempre ancorati a quelli della più gretta conservazione sociale e ideologica.

Ciò premesso, noi avvocati difensori, nel processo contro Valpreda ed altri credemmo di venir meno a un preciso obbligo della nostra coscienza, anche professionale, nel non denunciare la estrema delicatezza di una situazione che vede ancora il dottor Falco presidente di un processo in cui la ideologia è praticamente tutto, e proprio quella ideologia che già suscitava una guerra senza quartiere al tempo della condanna di Braibanti e della stesura della sentenza. Anzi, la situazione oggi è ancora più grave, perché il processo che si aprirà a Roma il 23 febbraio è un processo indiziario e quindi a maggior ragione influenzato e influenzabile dall’ideologia.

E’ in corso in questi giorni avanti al Tribunale dell’Aquila il processo contro tre giornalisti, tratti sul banco degli imputati per aver espresso le loro opinioni negative sulla ideologia del dott. Falco. Tale iniziativa è la prova di come vengono tenuti in considerazione tanto il diritto di critica da parte di ogni cittadino quanto il diritto di informazione, prerogativa della libera stampa. E’ estremamente preoccupante che principii di questo tipo vengano messi in discussione e in particolare quando vi è coinvolto un alto magistrato a cui è affidato il processo della «strage di Stato», un processo che vede in gioco tutti i cosiddetti valori tradizionali e tutti quelli cosiddetti eversivi, mentre dovrebbe tendere come fine all’accertamento il più serenamente obiettivo e indipendente della verità, della terribile verità che sta sotto il processo.

Né si può dire che altro è l’uomo Falco, col quale ovviamente non abbiamo niente in comune, e altro è il giudice Falco: a parte la grottesca ipocrisia della distinzione, abbiamo dimostrato che il giudice Falco ha almeno il grosso pregio di scrivere ufficialmente quel che gli detta dentro l’uomo Falco. Non è certo senza significato che questo magistrato sia stato chiamato a presiedere il processo Valpreda: un magistrato che si è già chiaramente espresso su alcuni tra i più fondamentali principii ideologici che sono comuni al processo Valpreda. Perciò non consideriamo Falco il magistrato idoneo a presiedere il processo; ciò che ci preme soprattutto è che la opinione pubblica sappia con chiarezza qual è il metodo con cui si amministra la giustizia in Italia.

Luca Boneschi

Sandro Canestrini

Francesco Fenghi

Ferdinando Giacomini

Marco Janni

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