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Lotta Continua 24 marzo 1970 Un governo vale bene un vetrino

24 settembre 2012

Alla luce del progetto politico che sta dietro la strage di Milano, si capisce appieno anche l’incriminazione dei parenti di Valpreda, i quali dopo aver affermato per due mesi la stessa coerente versione, ora vengono improvvisamente incriminati per falsa testimonianza; in questo senso si può addirittura spiegare (se non fosse, per la sua ridicolaggine, al di fuori di ogni logica) anche la storia del vetrino giallo, anzi verde, come correggono dopo alcuni giorni gli inquirenti. Da questa borsa dei miracoli potrebbe ormai saltare fuori anche un cadavere tagliato a pezzi o un coniglio e non ci stupiremmo più di tanto, dopo che è stata abilmente fatta saltare fuori (col vetrino) persino la «firma» di Valpreda e la sua confessione. Certo che l’organizzatore di questo complotto lucido e perfetto è davvero un ingenuo e uno sprovveduto se dimentica un suo strumento di lavoro, un suo oggetto personale e caratteristico, dentro la borsa con cui trasporta le bombe. Sarebbe in definitiva come se un generale che va a rubare galline dimenticasse il carrarmato nel pollaio. E pensare che i compagni anarchici possano essere più stupidi dei generali è davvero un po’ troppo. Senza considerare poi il fatto che, secondo quanto dice l’informatissimo «Corriere», del vetrino se ne parla per la prima volta nell’interrogatorio del 27 gennaio; e in tutto questo periodo (dal 12 dicembre al 27 gennaio) che cosa ha combinato il vetrino? Era forse nascosto nelle capaci pieghe della borsa? E questa borsa poi che per 4 ore è stata agitata, sballottata, scossa, esaminata all’interno della Banca Commerciale da impiegati curiosi che volevano ascoltare il ticchettio… certo non sarebbe stato troppo difficile nascondere non uno ma decine di vetrini dentro la borsa … (e che qualcuno l’abbia fatto sul serio ne siamo certi, e non certamente Valpredra o Sottosanti).

Intanto il capitano Varisco viene mandato in giro per l’Italia – a recapitare plichi segreti – dicono; e già che c’è, ne approfitta per fare due visite in più, la prima al consigliere istruttore Antonio Amati, la seconda, pare, in Friuli. Ad Amati dispiaceva sinceramente di essere stato tagliato fuori, sinora, dall’inchiesta. Lui è un esperto in attentati, sa tutto, sa forse quasi di più di Calabresi, tant’è vero che è stato lui il primo, nel tardo pomeriggio del 12, a telefonare in questura (forse puntava sulla taglia) per suggerire la pista degli anarchici. E quindi ora in una maniera o nell’altra vuole riaffermare il suo diritto a partecipare all’«inchiesta del secolo». E c’è riuscito; in quanto dirigente dell’ufficio istruzione poteva avocare a sé l’istruttoria milanese e si è affrettato a farlo; sarà lui quindi ad interrogare i parenti di Valpreda. Amati comunque ha parlato con Varisco; gli avrà proposto (è una sua specialità) una testimone segreta? Una che potrebbe affermare che Valpreda il giorno 13 non solo si trovava a Roma al bar Jovinello, ma magari contemporaneamente a Taormina e a Domodossola a parlare del più e del meno, di tritolo e di commedie musicali, di attentati e di danza classica.

Ma il capitano Varisco è andato anche fino a Udine e pure questo è perfettamente spiegabile. Il 30 o il 31 ottobre del 1969 in un bosco alla periferia di Forni di Sopra in provincia di Udine fu scoperto il cadavere di un giovane colpito alla fronte da un proiettile d’arma da fuoco. Addosso al morto i carabinieri rinvennero un solo documento: un foglio di congedo intestato a Piero Rossi, universitario ventinovenne nato a S. Giuliano Terme (Pisa) e domiciliato alla casa dello studente di Milano. Ma dopo alcuni accertamenti si scoprì che lo studente Piero Rossi (che era stato tra gli occupanti dell’ex Hotel Commercio) era vivo e non era in grado di spiegare come mai il suo documento fosse finito addosso a un cadavere. Passò un po’ di tempo e si riprese a parlare di questo cadavere quando il democristiano Lorenzon affermò di aver sentito il suo ex amico Ventura, (editore neonazista) attribuire la uccisione del giovane ad agenti del SID. Il capitano Varisco potrebbe quindi avere tra i suoi compiti quello di approfondire le indagini su questo delitto (o forse quello più credibile, di chiudere completamente il caso). È certo comunque che elementi interessanti potrebbero saltare fuori; basta considerare le rivelazioni fatte da Lorenzon per rendersene conto: «Sì, Ventura mi ha detto di essere stato uno degli organizzatori e dei finanziatori degli attentati sui treni, la notte tra 1’8 e il 9 agosto». E ha aggiunto questi particolari: che a dare i soldi e a curare il piano erano stati lui e altri due; che in complesso aveva operato un gruppo di nove persone; che parecchie di queste persone non avevano neppure il denaro per le spese di viaggio; e che tutto, bombe e rimborsi spese, gli erano costati centomila lire per attentato. Ventura mi confidò che prima degli attentati di Milano lui aveva parlato di bombe da piazzare in quella città con una persona che io non conosco». Così senza che la polizia faccia il minimo sforzo e la minima indagine, la verità sul terrorismo in Italia comincia ad emergere, ed emergono anche con estrema chiarezza e precisione nomi, complicità, prove. Basterebbe volerle leggere e collegarle e quello che è l’apparato finale e materiale della «strategia del tritolo» potrebbe essere tutto definito e individuato. Ma questo naturalmente non lo si vuole fare, perché scoprire gli esecutori vuol dire suggerire i mandanti, e a questo punto il gioco potrebbe diventare fastidioso. La gente vorrebbe saperne qualcosa di più e farebbe domande, farebbe le sue inchieste, e la cosa si rivelerebbe estremamente pericolosa per questa loro «democrazia», fondata sulle bombe e sui servizi segreti.

24 cantanti denunciati e prosciolti

Quando nel Palazzo di Giustizia, durante il processo contro Bellocchio, cantavamo la Ballata di Calabresi (già Ballata di Pinelli) eravamo coscienti di «diffamare» almeno tre persone (per la precisione Luigi Calabresi, Marcello Guida, Sabino Lo Grano), in quanto molto semplicemente le accusavamo di omicidio e affermavano che erano state loro tre a far cadere Pinelli dalla finestra del quarto piano della questura. E anche se questa è la verità, se non è almeno Giorgio Bocca a confermarlo, sempre di «diffamazione» si tratta.

Ma non pensavamo certo di fare una «radunata sediziosa» dal momento che «non è punibile chi, prima dell’ingiunzione dell’autorità, o per obbedire ad essa, si ritira dalla radunata» (art. 655 C.P.); e questa ingiunzione non c’è mai stata. Comunque è per «radunata sediziosa» che siamo stati denunciati.

La cosa non ci dispiaceva tanto, in definitiva; era forse l’occasione per dire apertamente in un tribunale chi sono gli assassini di Pinelli. Questo deve averlo pensato, però, anche il pretore Letterio Cassata, che ci ha prosciolto in istruttoria. Ma non finisce qui.

Lotta Continua 17 gennaio 1970 La bomba di Milano: chi indagherà sugli indagatori?

23 settembre 2012

Lotta Continua 17 gen1970 n1 La bomba di Milano: chi indagherà sugli indagatori?  La mattina di lunedì scorso quando i giornalisti poterono finalmente vedere i verbali degli interrogatori dell’inchiesta sugli attentati, molti ci rimasero male. Le decine di cartelle dattiloscritte non davano le rivelazioni attese, non giustificavano neppure la permanenza in galera degli arrestati. Anzi, rivelavano meno di quel po’ che si sapeva già. Per quasi un mese la giustizia dello stato borghese ha tenuto isolati dal resto del mondo gli imputati. Nemmeno gli avvocati hanno potuto vederli. Solo ogni tanto scivolava tra le maglie del ‘segreto’ istruttorio qualche ‘clamorosa notizia’ ed era il Corriere della Sera, il figlio prediletto, a sparare sostenendo sempre la colpevolezza degli accusati: Ci sono le prove! Li hanno beccati! Tutto è chiaro! Ed ecco che al dunque il primo round del’inchiesta rivela un fondale di carta pesta. Non si vedono né prove, né confessioni, né spiegazioni, tutti gli imputati hanno degli alibi.

La testimonianza di un taxista (contraddetta, negata, corretta e già di per se strana) e le volonterose indicazioni di un fascista. Tutto qui. Questi i cardini dell’accusa contro Valpreda e gli altri. Da quattro settimane si ripeteva che gli accusati degli attentati del 12 dicembre erano inchiodati da chiare prove. Sembrava quasi a questo punto che ‘si sapesse’ sin dall’inizio come dovrà andare a finire l’inchiesta, solo che i pezzi del mosaico tardano a quadrare e spesso i tempi sono sbagliati come in una commedia in cui qualche attore sbaglia le ‘entrate’ scritte nel copione.

Valpreda avrebbe portato le bombe in taxi (centocinquanta metri in taxi per poi tornare indietro a piedi di cento metri!). Il taxista lo dice alla polizia la stessa sera di venerdi 12, ma la circostanza è passata sotto silenzio (troppo presto?). Lunedì 15, appena fermato Valpreda (nessuno lo sa ancora), il taxista va – questa volta – dai carabinieri, come da vecchi conoscenti. Racconta una versione diversa da quella raccontata al dottor Paolucci. (Questa versione subirà aggiustamenti nei giorni successivi per far quadrare l’imbarazzante contraddizione.).

Intanto Valpreda è spedito a Roma dove (prima ancora di aver sentito il taxista) già sanno che è lui l’uomo da cercare. Nel frattempo a Rolandi mostrano a Milano le foto di Valpreda e poi lo mandano a Roma. E’ arrivato da pochi minuti all’aeroporto che il Corriere sa già – e pubblica – del riconoscimento (non ancora avvenuto!). Poco dopo alla questura di Roma, si viene a sapere che il riconoscimento è avvenuto. Tutto bene. Però il riconoscimento avverrà quattro o cinque ore dopo.

Il fascista Merlino è l’altro cardine dell’accusa. Anche lui sa, sapeva, di dinamite, bombe, attentati. Però molti indicano Merlino come confidente della polizia e quindi quello che conosceva Merlino avrebbe dovuto conoscerlo pure la questura. Valpreda sapeva che quanto si diceva e faceva al circolo «22 marzo» di Roma era noto alla polizia. E avrebbe organizzato lo stesso gli attentati? Non solo, ma è confermato che la polizia giudicava da tempo Valpreda e i suoi  amici dei dinamitardi. In queste condizioni come avrebbero potuto preparare ordigni cosi complessi e piazzare cinque bombe senza che la questura si accorgesse di nulla?

Oggi all’opinione pubblica le cose ‘note’ vengono fatte arrivare una ad una, come in un film giallo molto dosato, attraverso fughe di notizie o rivelazioni del Corriere della Sera. Ma questo non fa che confermare che ci sia sempre qualcuno che sa già da prima le cose, anche al di là delle prove raggiunte. Per esempio Calabresi dell’Ufficio Politico della questura di Milano, la sera stessa degli attentati avrebbe detto (ma poi la frase – pubblicata – è stata smentita) che l’inchiesta si orientava verso i gruppi di estrema sinistra. Ma ancora prima, mezz’ora dopo la bomba di piazza Fontana, il magistrato milanese Amati (riferisce il Corriere della  Sera) consiglia di iniziare subito le indagini negli ambienti anarchici e lo stesso Amati ricevendo Valpreda prima ancora che sia  fermato dice: «Perché voi anarchici amate tanto il sangue? ». (Corriere)

Sapevano – in questura – che l’anarchico Pinelli non c’entrava per nulla (e l’hanno detto in questi giorni). Eppure dopo il volo dalla fìnestra il questore Guida disse che Pinelli era «fortemente indiziato». Disse anche che l’alibi dell’anarchico era crollato. Invece in questura sapevano che l’alibi c’era. Una fretta singolare di mettere in cattiva luce l’uomo che stava morendo all’ospedale. «Vi giuro – disse Guida – che non l’abbiamo ucciso noi». Perché questa discolpa non richiesta? Che cosa ancora sapeva il questore? È vero, come sembra in questo momento, che l’ambulanza per il Pinelli fu chiamata due o tre minuti prima che l’uomo volasse dal quarto piano della questura di Milano?

Anche a Roma si sapeva qualcosa, indubbiamente. Ad esempio si sapeva di voler mettere le mani su Valpreda. Prima che saltasse fuori la testimonianza del taxista, a Roma sapevano di volere Valpreda e – a quanto sembra – c’era chi sapeva già che l’inchiesta sarebbe stata condotta dalla magistratura romana. Perché a Roma? Forse lo potrebbe spiegare il sostituto procuratore Occorsio che oggi si occupa degli attentati. Questo magistrato romano è una persona in vista: fu Pubblico Ministero nel processo contro il compagno Tolin. Il compagno Tolin si prese 17 mesi per reati d’opinione.

Sicuramente c’è qualche gruppo che sa tutto: sapeva che le bombe stavano per essere messe, chi le aveva messe e chi doveva essere accusato. Qualche gruppo, e non qualche gruppetto di pseudo-anarchici o tanto meno di anarchici. Sarà utile – a questo proposito – rivedersi il settimanale Epoca in data 10 dicembre (due giorni prima delle bombe). Epoca lanciò una copertina tricolore e un incredibile articolo: «Colpo di stato: è possibile?» .. « L’Italia è senza dubbio ad una svolta nella sua storia». In una situazione eccezionalmente drammatica «le forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana … nel giro di mezza giornata ».

Del resto quattro giorni prima due quotidiani inglesi si preoccupavano della possibilità di un colpo di stato in Italia. Tutto questo prima degli attentati.

Evidentemente, quindi, dietro le quinte qualcuno sapeva e ancor oggi sa chi ha messo le bombe o chi conviene accusare: giornali come La Notte (semifascista) e Sole-24 Ore (Confindustria) hanno indicato subito le sinistre. Il Corriere della Sera ha fatto e sta facendo il resto. Con la fragile inchiesta continua spudoratamente la campagna di attacco alle forze rivoluzionarie.

Se avevano in mente dalle prime ore Valpreda, se sapevano tutto del Circolo «22 marzo», perché polizia e magistratura hanno compiuto centinaia di fermi, denunce, perquisizioni, controlli telefonici, esami di documenti e schedari di compagni operai e studenti?

I colpi di stato si fanno in molti modi. Non sempre vanno bene i carri armati che possono dar fastidio a una parte della borghesia. I meccanismi della giustizia borghese – invece – vanno meglio, possono servire per colpire in modo massiccio e selezionato la classe operaia, soprattutto sotto la cortina fumogena di un’inchiesta giudiziaria.