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Lotta Continua 17 gennaio 1970 La bomba di Milano: chi indagherà sugli indagatori?

23 settembre 2012

Lotta Continua 17 gen1970 n1 La bomba di Milano: chi indagherà sugli indagatori?  La mattina di lunedì scorso quando i giornalisti poterono finalmente vedere i verbali degli interrogatori dell’inchiesta sugli attentati, molti ci rimasero male. Le decine di cartelle dattiloscritte non davano le rivelazioni attese, non giustificavano neppure la permanenza in galera degli arrestati. Anzi, rivelavano meno di quel po’ che si sapeva già. Per quasi un mese la giustizia dello stato borghese ha tenuto isolati dal resto del mondo gli imputati. Nemmeno gli avvocati hanno potuto vederli. Solo ogni tanto scivolava tra le maglie del ‘segreto’ istruttorio qualche ‘clamorosa notizia’ ed era il Corriere della Sera, il figlio prediletto, a sparare sostenendo sempre la colpevolezza degli accusati: Ci sono le prove! Li hanno beccati! Tutto è chiaro! Ed ecco che al dunque il primo round del’inchiesta rivela un fondale di carta pesta. Non si vedono né prove, né confessioni, né spiegazioni, tutti gli imputati hanno degli alibi.

La testimonianza di un taxista (contraddetta, negata, corretta e già di per se strana) e le volonterose indicazioni di un fascista. Tutto qui. Questi i cardini dell’accusa contro Valpreda e gli altri. Da quattro settimane si ripeteva che gli accusati degli attentati del 12 dicembre erano inchiodati da chiare prove. Sembrava quasi a questo punto che ‘si sapesse’ sin dall’inizio come dovrà andare a finire l’inchiesta, solo che i pezzi del mosaico tardano a quadrare e spesso i tempi sono sbagliati come in una commedia in cui qualche attore sbaglia le ‘entrate’ scritte nel copione.

Valpreda avrebbe portato le bombe in taxi (centocinquanta metri in taxi per poi tornare indietro a piedi di cento metri!). Il taxista lo dice alla polizia la stessa sera di venerdi 12, ma la circostanza è passata sotto silenzio (troppo presto?). Lunedì 15, appena fermato Valpreda (nessuno lo sa ancora), il taxista va – questa volta – dai carabinieri, come da vecchi conoscenti. Racconta una versione diversa da quella raccontata al dottor Paolucci. (Questa versione subirà aggiustamenti nei giorni successivi per far quadrare l’imbarazzante contraddizione.).

Intanto Valpreda è spedito a Roma dove (prima ancora di aver sentito il taxista) già sanno che è lui l’uomo da cercare. Nel frattempo a Rolandi mostrano a Milano le foto di Valpreda e poi lo mandano a Roma. E’ arrivato da pochi minuti all’aeroporto che il Corriere sa già – e pubblica – del riconoscimento (non ancora avvenuto!). Poco dopo alla questura di Roma, si viene a sapere che il riconoscimento è avvenuto. Tutto bene. Però il riconoscimento avverrà quattro o cinque ore dopo.

Il fascista Merlino è l’altro cardine dell’accusa. Anche lui sa, sapeva, di dinamite, bombe, attentati. Però molti indicano Merlino come confidente della polizia e quindi quello che conosceva Merlino avrebbe dovuto conoscerlo pure la questura. Valpreda sapeva che quanto si diceva e faceva al circolo «22 marzo» di Roma era noto alla polizia. E avrebbe organizzato lo stesso gli attentati? Non solo, ma è confermato che la polizia giudicava da tempo Valpreda e i suoi  amici dei dinamitardi. In queste condizioni come avrebbero potuto preparare ordigni cosi complessi e piazzare cinque bombe senza che la questura si accorgesse di nulla?

Oggi all’opinione pubblica le cose ‘note’ vengono fatte arrivare una ad una, come in un film giallo molto dosato, attraverso fughe di notizie o rivelazioni del Corriere della Sera. Ma questo non fa che confermare che ci sia sempre qualcuno che sa già da prima le cose, anche al di là delle prove raggiunte. Per esempio Calabresi dell’Ufficio Politico della questura di Milano, la sera stessa degli attentati avrebbe detto (ma poi la frase – pubblicata – è stata smentita) che l’inchiesta si orientava verso i gruppi di estrema sinistra. Ma ancora prima, mezz’ora dopo la bomba di piazza Fontana, il magistrato milanese Amati (riferisce il Corriere della  Sera) consiglia di iniziare subito le indagini negli ambienti anarchici e lo stesso Amati ricevendo Valpreda prima ancora che sia  fermato dice: «Perché voi anarchici amate tanto il sangue? ». (Corriere)

Sapevano – in questura – che l’anarchico Pinelli non c’entrava per nulla (e l’hanno detto in questi giorni). Eppure dopo il volo dalla fìnestra il questore Guida disse che Pinelli era «fortemente indiziato». Disse anche che l’alibi dell’anarchico era crollato. Invece in questura sapevano che l’alibi c’era. Una fretta singolare di mettere in cattiva luce l’uomo che stava morendo all’ospedale. «Vi giuro – disse Guida – che non l’abbiamo ucciso noi». Perché questa discolpa non richiesta? Che cosa ancora sapeva il questore? È vero, come sembra in questo momento, che l’ambulanza per il Pinelli fu chiamata due o tre minuti prima che l’uomo volasse dal quarto piano della questura di Milano?

Anche a Roma si sapeva qualcosa, indubbiamente. Ad esempio si sapeva di voler mettere le mani su Valpreda. Prima che saltasse fuori la testimonianza del taxista, a Roma sapevano di volere Valpreda e – a quanto sembra – c’era chi sapeva già che l’inchiesta sarebbe stata condotta dalla magistratura romana. Perché a Roma? Forse lo potrebbe spiegare il sostituto procuratore Occorsio che oggi si occupa degli attentati. Questo magistrato romano è una persona in vista: fu Pubblico Ministero nel processo contro il compagno Tolin. Il compagno Tolin si prese 17 mesi per reati d’opinione.

Sicuramente c’è qualche gruppo che sa tutto: sapeva che le bombe stavano per essere messe, chi le aveva messe e chi doveva essere accusato. Qualche gruppo, e non qualche gruppetto di pseudo-anarchici o tanto meno di anarchici. Sarà utile – a questo proposito – rivedersi il settimanale Epoca in data 10 dicembre (due giorni prima delle bombe). Epoca lanciò una copertina tricolore e un incredibile articolo: «Colpo di stato: è possibile?» .. « L’Italia è senza dubbio ad una svolta nella sua storia». In una situazione eccezionalmente drammatica «le forze armate potrebbero essere chiamate a ristabilire immediatamente la legalità repubblicana … nel giro di mezza giornata ».

Del resto quattro giorni prima due quotidiani inglesi si preoccupavano della possibilità di un colpo di stato in Italia. Tutto questo prima degli attentati.

Evidentemente, quindi, dietro le quinte qualcuno sapeva e ancor oggi sa chi ha messo le bombe o chi conviene accusare: giornali come La Notte (semifascista) e Sole-24 Ore (Confindustria) hanno indicato subito le sinistre. Il Corriere della Sera ha fatto e sta facendo il resto. Con la fragile inchiesta continua spudoratamente la campagna di attacco alle forze rivoluzionarie.

Se avevano in mente dalle prime ore Valpreda, se sapevano tutto del Circolo «22 marzo», perché polizia e magistratura hanno compiuto centinaia di fermi, denunce, perquisizioni, controlli telefonici, esami di documenti e schedari di compagni operai e studenti?

I colpi di stato si fanno in molti modi. Non sempre vanno bene i carri armati che possono dar fastidio a una parte della borghesia. I meccanismi della giustizia borghese – invece – vanno meglio, possono servire per colpire in modo massiccio e selezionato la classe operaia, soprattutto sotto la cortina fumogena di un’inchiesta giudiziaria.

14 aprile 1986 Motivi del ricorso per cassazione del Procuratore Generale della Repubblica avverso la sentenza 1 agosto 1985 della Corte di Assise di Appello di Bari, del S. Procuratore Generale Umberto TOSCANI

10 aprile 2012

(riteniamo utile pubblicare alcuni estratti, scritti nel lontano 1986 da un PM quindi una fonte il più lontano possibile da noi, sulle cosidette “prove” che sarebbero esistite contro il nostro compagno Pietro Valpreda. La titolazione dei capitoli è nostra)

ALa testimonianza del tassista Rolandi

B – Sul riconoscimento di Pietro Valpreda da parte del tassista Rolandi

C – Sulla pretesa buona fede di Cornelio Rolandi

D – L’alibi di Pietro Valpreda per il 12 dicembre 1969

E – L’alibi di Pietro Valpreda per i giorni 13 e 14 dicembre

F – Sulla ipotesi della istigazione di PietroValpreda da parte di Mario Merlino

G e H – Sulle confidenze di Emilio Borghese e le deposizioni dei c.d. pentiti

7 febbraio 1978 Gli avvocati di Pietro Valpreda denunciano l’ex Questore di Milano, Marcello Guida, per falsa testimonianza

7 luglio 2011

PRETURA DI CATANZARO

ATTO DI DENUNCIA PER FALSA TESTIMONIANZA

I sottoscritti avvocati Guido Calvi, Marco Janni e Domenico Torchia, anche a nome degli avvocati Nadia Alecci e Fausto Tarsitano, difensori di Pietro Valpreda e altri nel processo per la strage di Piazza Fontana

 DENUNCIANO

Marcello Guida, ex questore di Milano, per il delitto di falsa testimonianza commesso nell’udienza del 18 gennaio 1978 avanti la corte d’assise di Catanzaro, ed

ESPONGONO

Nell’udienza del 18 gennaio 1978 il dott. Marcello Guida, all’epoca questore di Milano, deponendo quale testimone ha dichiarato ripetutamente di non ricordare alcuni atti da lui compiuti nella giornata del 15 dicembre 1969: atti che trovano il loro momento centrale e più significativo nella esibizione al tassista Cornelio Rolandi, il quale affermava di avere trasportato una persona che poteva essere l’attentatore della banca dell’Agricoltura, di una fotografia, quella di Pietro Valpreda. Il testimone, la cui deposizione è una sequela di “non ricordo” se non addirittura di affermazioni smentite dai fatti, come quella relativa alla taglia di 50 milioni che egli non può non ricordare essere stata comunicata alla stampa nella stessa giornata del 15 dicembre, a proposito della fotografia di Pietro Valpreda ha detto: “Ripeto quanto ho già detto nell’udienza del 24 maggio 1974, che non ricordo se a Rolandi fu mostrata una foto di Valpreda. Dato il superlavoro a cui ero stato assegnato in quei giorni sono dettagli che mi sfuggivano nel 74 e a maggior ragione mi sfuggono ora”.

L’esibizione della fotografia di Valpreda, però, non appartiene ai dettagli di quella giornata; al contrario, essa appare strettamente collegata a una meditata decisione del vertice della questura milanese e, del resto, ne sono attenti e memori testimoni il col. Favali e il magg. Ciancio dei carabinieri, oltre al dott. Zagari dell’ufficio politico della questura.

Col. Aldo Favali (udienza del 18/1/78): “Prima che al Rolandi venisse mostrata la fotografia di Valpreda, io giungendo dal gabinetto del questore avevo detto al questore che quello era l’autista che si era presentato, lo aveva reso edotto della ricognizione che avevo fatto e lo ho ragguagliato di quanto Rolandi aveva riferito. Al termine di questo discorso il questore prese dal tavolo la foto e la mostrò a Rolandi dicendogli: “E’ questa la persona che lei ha accompagnato?” E il Rolandi disse: “sì, però era più magro” (nella deposizione istruttoria del 12 gennaio 1970 il col. Favali aveva aggiunto: “Il dr Zagari rispose che la fotografia non era recente”).

Mag. Giampietro Ciancio (udienza del 13/1/78: “Giunti nel gabinetto del questore il col. Favali riferì quanto il Rolandi aveva a noi dichiarato ed a un certo momento il questore prese dal tavolo una fotografia che si trovava con la parte bianca verso l’esterno e la esibì al Rolandi dicendo all’incirca: “E’ questa la persona da lei trasportata?” Il Rolandi rispose: “Sì, però la persona da me trasportata era più scarna e più stempiata”.

Dott. Beniamino Zagari (udienza del 18/1/78): “Io ricordo che mi fu chiesto per telefonò di reperire a foto di Valpreda e mi pare che tale richiesta fu fatta dopo che il Rolandi fu accompagnato nel gabinetto del questore ove io mi trovavo”. E nell’udienza del 30 maggio 1974 (deposizione confermata e allegata al verbale del 18/1/78): “Non ricordo a che ora fui chiamato, tramite centralino, non ricordo da quale funzionario di reperire una fotografia del Valpreda che era stato accompagnato a Roma un paio d’ore prima. Attraverso gli schedari, le carte d’identità o (di) altri documenti, non so quali, recuperai questa fotografia che portai nella stanza del questore”.

Di questi fatti, il cui accadimento è fuori discussione, il dott. Guida è stato, prima che testimone, protagonista principale, e non è assolutamente credibile che egli non ne abbia conservato alcun ricordo. Senza entrare nel merito, in questa sede, delle implicazioni processuali dell’atto compiuto dal questore, è cero che fu lui, nell’ambito del coordinamento delle indagini,che gli spettava, a chiedere o a far chiedere da funzionari del suo ufficio che gli fosse portata una fotografia di Valpreda, fu lui a tenere la foto presso di sé, posata sulla sua scrivania, fu lui, personalmente, a mostrarla a Rolandi, accompagnando il gesto con la frase: “è questa la persona da lei trasportata?”.

E se un dubbio dovesse rimanere sul carattere non occasionale, non di routine, non di dettaglio, dell’atto compiuto dal questore, basta aggiungere che, subito dopo, egli fu attivo protagonista di una comparazione tra la fotografia di Valpreda e l’identikit tracciato dai carabinieri sulla scorta della descrizione fornita da Rolandi. Il col. Favali (sempre nell’udienza del 18/1/78) a domanda risponde: “La comparazione tra lo identikit e la fotografia fu fatta dalle persone che si trovavano nell’ufficio del questore e cioè il questore, io, il cap. Cima e Ciancio. Tra i presenti vi era Rolandi. Ma il giudizio che vi fosse una certa rassomiglianza fu espresso dal questore e da me”. E il magg. Ciancio aggiunge “Sia l’identikit che la foto fu messa sul tavolo del questore e dall’esame fu fatta una comparazione”.

L’ex questore, naturalmente, ha dovuto negare anche il ricordo di questa comparazione e del giudizio di somiglianza che egli stesso, sostituendosi a Rolandi, ritenne di manifestare.

Ma non basta. Non si può credere alla mancanza di memoria del dott. Guida, anche se molti erano i suoi impegni e molti sono gli anni trascorsi da allora, perchè sappiamo indubitabilmente che Rolandi venne accompagnato a Roma (la ricognizione è del 16 dicembre) per iniziativa della questura milanese, la quale era appena giunta alla conclusione che il passeggero descritto dal tassista corrispondesse ai connotati di Valpreda. E non si tratta di nostre induzioni, per quanto logiche e ineccepibili, perchè di ciò esiste una conferma documentale, della quale il dott. Guida ha avuto lettura. In un rapporto del dott. Zagari alla procura della repubblica di Milano, in data 15 dicembre (vol. I, parte II, foglio 407) si legge: “Poiché dalla descrizione fornita dal tassista sui connotati del medesimo, appare che essi si presentano pressappoco identici a quelli del Valpreda, nella mattinata di domani il commissario Capo dr. Antonino Allegra si porterà, con il Tenente dei CC. Sig. Giampietro Ciancio e col tassista, in aereo, a Roma per le urgenti ricognizioni e contestazioni del caso, alla presenza di Magistrati romani”.

Dunque: l’esibizione della fotografia di Valpreda e il successivo giudizio di comparazione tra la fotografia e l’identikit del passeggero di Rolandi, costituiscono addirittura l’antefatto, la premessa della decisione di far accompagnare Rolandi a Roma per una ricognizione di persona su Valpreda.

E fu personalmente il questore, come dichiara il col. Favali nella deposizione istruttoria del 12 gennaio 1970 (vol. III, parte II, foglio 90) a occuparsi di questo trasferimento: “Verso le ore 20 ebbi a ricevere una telefonata dal questore con cui mi diceva che il Rolandi doveva essere accompagnato a Roma urgentemente. Dopo circa un quarto d’ora, mi telefonò nuovamente il questore, affermando che il Rolandi a seguito di una telefonata fatta da un certo prof. Paolucci alla questura, era stato ricondotto in questura da agenti che si trovavano ad attenderlo presso la sua abitazione, non essendo a conoscenza degli ulteriori sviluppi delle indagini. Mi portai nuovamente in questura ed assieme al questore pregai il Rolandi di recarsi a Roma per un atto di riconoscimento. Il Rolandi aderì con il consenso della moglie presente ed in tale circostanza io l’ammonii formalmente di agire secondo coscienza, di non farsi influenzare, se era sicuro del riconoscimento doveva dire si, se era incerto esprime i suoi dubbi, se non lo riconosceva dire apertamente di no. Aggiunsi pure che il suo atto assumeva una enorme importanza e di non tener conto che nel frattempo era stata pubblicata la notizia della taglia”.

Ripetiamoci. Fu proprio quell’esame fotografico a permettere alla questura di Milano di supporre che Pietro Valpreda e il passeggero del taxi di Rolandi potessero essere la stessa persona e, quindi, a far maturare la decisione di procedere alla ricognizione di persona davanti alla procura della repubblica di Roma.

Se dunque la reticenza è provata in modo evidente, non meno evidenti appaiono i motivi che hanno indotto il dott. Marcello Guida a commettere il delitto di falsa testimonianza.

L’ex questore di Milano, ammettendo i fatti riferiti da funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri, avrebbe dovuto rendere ragione di un comportamento a prima vista inspiegabile.

La polizia milanese aveva fermato Pietro Valpreda verso le ore 11 del 15 dicembre a seguito di una specifica richiesta del dott. Provenza, capo dell’ufficio politico della questura di Roma.

Nella sua deposizione del 21 gennaio 1978 e in quella, confermata, del 18 aprile 1974, il dott. Provenza ha dichiarato: 1) che verso le 22,30 – 23 del 14 dicembre 1969 egli richiese alla questura di Milano il fermo e il trasferimento a Roma di Pietro Valpreda; 2) che tale richiesta era giustificata dalle dichiarazioni di Merlino e dell’agente Ippolito alla polizia romana; 3) che egli non comunicò alla questura di Milano né il contenuto di quelle dichiarazioni né le ragioni della sua richiesta; 4) che in ogni caso la Polizia romana non aveva raccolto alcun indizio, anche soltanto per sospettare una partecipazione di Valpreda all’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Milano, cui si riferiva la testimonianza del tassista Rolandi.

Il questore, perciò, non disponeva di alcun elemento, neppure indiziario, che collegasse la persona di Pietro Valpreda all’attentato alla Banca dell’Agricoltura; ciononostante, nel pomeriggio del 15 dicembre, egli aveva sul suo tavolo una sola fotografia, quella appunto di Pietro Valpreda, e la mostrò a Rolandi.

Un gesto gravissimo, con cui egli dava a intendere di reputare, senza ragione, fortemente compromessa la posizione di Pietro Valpreda (tanto è vero che nel verbale di fermo si legge, e nessuno ha mai spiegato perchè: “gravemente indiziato del reato di strage”).

Il dott. Guida, dunque, ha mentito perchè, altrimenti, avrebbe dovuto riferire alla corte d’assise le ragioni, tuttora non documentate nel processo ma certamente esistenti, della decisione di mettere i ricordi di Rolandi a confronto privilegiato con le sembianze di Pietro Valpreda, ponendo le premesse e nello stesso tempo ipotecando l’esito della ricognizione di persona. Egli non può aver dimenticato una iniziativa che lo ebbe protagonista e che valse il 15 dicembre 1969, a collocare Valpreda al centro delle indagini: e con tale deliberata insistenza che nel corso di quella stessa sera, in quella stessa questura, proprio una confessione di Valpreda, che questi non aveva mai resa, sarà brutalmente rinfacciata ad un altro fermato, Giuseppe Pinelli.

 

Allegati

1) verbale udienza dibattimentale 18 gennaio 1978 e relativi allegati;

2) verbale udienza dibattimentale 21 gennaio 1978;

3) verbale deposizione istruttoria 12 gennaio 1970 del col. Favali;

4) rapporto 15 dicembre 1969 del dott. Zagari;

5) verbale udienza dibattimentale 18 aprile 1974.-

 

Catanzaro, lì 7 febbraio 1978