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Lotta Continua 1 maggio 1970 Torture alla questura di Milano – Ricordiamoci i loro nomi: Zagari, Panessa, Calabresi, Muccilli

26 settembre 2012

Lotta Continua 1 maggio 1970 foto 01

Quello che riportiamo è una parte del verbale di un compagno arrestato e tenuto in prigione da più di un anno, sotto l’accusa di aver partecipato agli attentati del 25 aprile al padiglione Fiat della Fiera. Pur non esistendo nessuna prova a carico e pur essendo emersa la responsabilità fascista degli attentati, 4 compagni hanno già fatto un anno di carcere preventivo. Per tenerli in galera si è tentato di costruire prove false; il modo viene denunciato dal verbale. Altro particolare interessante è che i poliziotti accusati di torture sono gli stessi presenti all’interrogatorio e al «suicidio» di Pinelli. Anche di queste violenze dovranno rispondere; ricordiamoci i loro nomi; gliela faremo pagare.

«Dichiaro i motivi per cui i verbali da me precedentemente firmati sono completamente falsi. Per 3 giorni in Questura sono rimasto senza dormire e mi veniva imposto di stare in piedi quando le mie risposte non corrispondevano alla volontà degli agenti. Essi non hanno cessato un minuto di interrogarmi e per questo si davano il cambio. Solo al terzo giorno mi è stato concesso di mangiare; ho dovuto affrontare un viaggio di notte da Pisa a Milano, ero intirizzito perchè non avevo con me indumenti caldi. Ma quello che più ha influito nel farmi firmare i verbali scritti dalla polizia sono state le percosse e le minacce. Era la prima volta che subivo violenza fisica. Sono stato schiaffeggiato, colpito alla nuca, preso a pugni, mi venivano tirati i capelli, e torti i nervi del collo. Rendeva più terribile le percosse il fatto che avvenivano all’improvviso dopo aver fatto chiudere le imposte, e venivo colpito al buio. In particolare ricordo di essere stato colpito dal dr. Zagari che mi accolse al mio arrivo da Pisa alle 3 di notte con una nutrita scarica di schiaffi, e dagli agenti Mucilli e Panessa.

Quanto alle minacce, consistevano nel terrorizzarmi annunciandomi, codice alla mano, a quanti anni di carcere avrei potuto essere condannato, cioè fino a venti anni. Tali minacce mi furono ripetute in carcere da parte del dr. Calabresi. Non mi sono mai resto conto della gravità delle affermazioni false che ero costretto a sottoscrivere perché avevo coscienza che i fatti erano diversi e pensavo che la testimonianza di due persone adulte, quali l’architetto Corradini e la moglie non avrebbero lasciato dubbi. Questo perché pensavo che non mi credessero perché ero un ragazzo. Mi sono sempre fin dall’inizio dichiarato estraneo ai fatti.

L’ufficio dà atto che le predette dichiarazioni sono state dettate personalmente dall’imputato, ricavandole da un suo foglio scritto.»

Lotta Continua 1 maggio 1970 foto 02

da Le Bombe dei Padroni (luglio 1970) Testimonianza di Sergio Ardau

22 novembre 2011

Verso le ore 16,30, di venerdi 12 dicembre, l’interno della Banca dell’Agricoltura, di Piazza Fontana, a Milano, viene sconvolto da una spaventosa esplosione. Agli occhi di coloro che accorrono, si presenta uno spettacolo terrificante: brani di corpi umani straziati, sparsi un pò dappertutto, in un lago di sangue, fra cumuli di macerie. Il primo bilancio è di 14 morti ed un numero impressionante di feriti, più o meno gravi. Mentre le autoambulanze, vanno e vengono, senza sosta, si fanno le prime congetture sulla sciagura; in un primo momento, circola la voce che siano esplose le caldaie del riscaldamento, poi, subito dopo si manifesta, senza più ombra di dubbio, l’atroce realtà: si è trattato di un attentato, una bomba collocata all’interno della banca ha provocato la strage, seminando la morte, fra quanti ignari della terribile minaccia in agguato, si trovavano sul posto.

Poche ore dopo, polizia e carabinieri, si scatenano in una forsennata caccia all’anarchico.

Il sottoscritto, quel giorno, si trovava all’interno del nuovo circolo anarchico di via Scaldasole 5, recentemente aperto, quando, verso le ore 19 circa, irrompe nel medesimo la squadra politica al completo, che si mette immediatamente «al lavoro», buttando tutto all’aria, frugando mobili e rovesciando cassetti, senza come al solito, trovare alcunchè, salvo ciclostilati, giornali, manifestini ed altri stampati, dei quali-in mancanza d’altro, viene fatto abbondante saccheggio. Alle proteste del sottoscritto, circa la mancata esibizione di un regolare mandato di perquisizione, si risponde, con seccata sufficienza, che «non è necessario, stato di emergenza» (?). Il sottoscritto viene «cortesemente» invitato «a favorire in questura» al seguito dei succitati messeri, onde fare una chiacchierata con il «dottore». Sono presenti il Dr. Calabresi, il Dr. Zagari, il Brig. Panessa ed altri ancora di cui non conosco il nome. In quel momento, mentre il sottoscritto si accinge a chiudere il locale, giunge il compagno Pinelli, al quale viene immediatamente esteso l’invito a «favorire» anche lui al solito posto.

Ci assicurano che non credono assolutamente che noi due si possa essere implicati in qualsivoglia maniera, negli attentati di poche ore fa, sanno benissimo che siamo due brave persone non hanno intenzione alcuna di fermarci, nè tantomeno di arrestarci, vogliono solamente avere con noi, «un amichevole e leale scambio di vedute». Stranamente mi trovo preso sottobraccio (sarà una dimostrazione d’affetto?), piuttosto saldamente direi, da due poliziotti, che mi «aiutano» a salire su una 850 Fiat blu, dove mi ritrovo ben stretto fra il brig. Panessa ed il dr. Zagari, mentre il dr. Calabresi, prende posto accanto all’autista. Gli altri poliziotti rimangono appostati nei pressi, in speranzosa attesa di qualche altro incauto pellegrino.

Pinelli che è venuto con il suo motociclo, segue a bordo dello stesso, noialtri in macchina, alla volta della questura centrale. Durante il tragitto, sia il dr. Calabresi, che il brig. Panessa, suo solerte scudiero (novelli don Chisciotte e Sancho Panza!), mi parlano indignati di «una sicura matrice anarchica negli attentati», «di certi pazzi criminali che si sono infiltrati tra noi, tra cui il Valpreda» (?) a proposito del Valpreda, mi chiedono se ultimamente l’ho visto e se frequenta il circolo. Tornano a ripetere «voialtri due siete due bravi ragazzi (Pino ed io), ma dovete riconoscere che tipi loschi come quel pazzo di Valpreda, con il suo codazzo di ragazzini (Aniello D’Errico, Leonardo Claps, conosciuti come Cap e Steven, più gli altri), con la loro esaltazione criminale (?) ci costringono a prendere seri provvedimenti che si ritorcono anche contro di voi, poichè ora non possiamo più tollerare, ciò che in passato abbiamo fin troppo tollerato (?!), dovete rendervi conto che ora ci sono stati quattordici morti e non venitemi a raccontare, tu o altri che sono stati i fascisti, questa è roba da anarchici, non c’è ombra di dubbio (beato lui!) e voi dovete aiutarci a trovarli e fermarli prima che possano uccidere ancora, perchè sono delle belve assetate di sangue. La vostra propaganda anarchica, anche se voi di una certa età, la fate in buona fede, da filosofi idealisti, come te e Pinelli (???!!!) può generare in menti esaltate, l’odio e la violenza ed ecco in quanto è successo, il frutto inumano di quello che avete seminato e di cui siete anche voi (Pino ed io), se non forse materialmente,·credo però che non c’entriate (bontà sua), sicuramente moralmente responsabili, a meno che non collaboriate con noi, per assicurare alla giustizia quei mostri!». Alla mia domanda sul chi è o chi sono, a suo parere «i mostri», mi risponde che ancora non sono del tutto sicuri, comunque di certo c’è che sono stati gli anarchici e che sarebbero «ben curiosi di sapere dove si è cacciato il Valpreda, che nelle dimostrazioni gridava bombe, sangue, anarchia!».

Finalmente arriviamo in questura e, giunti al quarto piano (sez. politica) abbiamo la sorpresa di ritrovarci noi due soli, in uno stanzone pieno di poliziotti, ci fanno sedere uno di fronte all’altro, ad una certa distanza, con un agente seduto fra noi. Calabresi comunica a Pino, che è stata fatta una perquisizione a casa sua, Pino risponde sorridendo che come al solito non hanno trovato nulla. Calabresi e gli altri, fra cui Panessa, si rivolgono a me, chiamandomi sarcasticamente con il solito titolo: «il malfattore» e sia io che Pino, ci mettiamo a ridere. Dottori e brigadieri, si ritirano nei loro covi a cogitare, dato che per il momento, dicono, non hanno tempo di occuparsi di noi. Freneticamente, il folto nugolo di agenti, a gruppetti di quattro cinque per volta, dopo essere entrati ed usciti dall’ufficio di Calabresi, con un foglio in mano e dopo aver consultato la carta topografica della città, appena alle mie spalle, escono di volata, dallo stanzone, chiamando a gran voce gli autisti. Sento fare un sacco di nomi, ogni tanto sento il nome di questo o quel compagno e posso immaginare che stanno andando ad «invitare» anche loro a «favorire». Lo stanzone si svuota, restiamo solo noi due, oltre al nostro angelo custode. Pino mi strizza l’occhio e dice: «mi sa che si tratta di un invito piuttosto lungo, peccato che siamo solo noi due se no, si potrebbe fare un po’ di baldoria», rispondo che presto saremo in folta compagnia; il poliziotto protesta e si agita, dicendo che non possiamo comunicare tra di noi. Passano delle ore, lunghe e monotone, Pino ogni tanto alza la testa (sta facendo dei disegnini su dei foglietti di carta che arraffa sui tavoli vicini) e mi strizza l’occhio sorridendo. Arriva un altro poliziotto, molto meno «formale», che dà il cambio all’altro e si mette dapprima a chiaccherare con me, sulla Sardegna e poi con Pino, sul modo di cucinare le anitre selvatiche, le lepri e la selvaggina in genere. Pino, discute molto interessato e altre ore passano più in fretta.

E’ quasi mezzanotte, cominciano ad arrivare i primi scaglioni di fermati. I compagni anarchici, arrivano a frotte, giovani e vecchi assieme agli m.l. (marxisti-lennisti) di tutte le linee e gruppi. Lo stanzone è ben presto pieno, non tutti possono accomodarsi le altre stanze sono piene anch’esse. Ci scambiamo, fra compagni, le prime impressioni. Viene interrogato Pino, a lungo, poi è la mia volta, seguito a ruota dagli altri. Ci richiamono più volte, Pino ed io, per interrogarci di nuovo e, cosa molto strana, a seguito degli interrogatori, sia miei che di Pino, stendono un sacco di verbali molto generici, circa i nostri movimenti del pomeriggio e ogni volta non si curano di farceli firmare (e fino a sabato mattina, sia io che Pino, non abbiamo firmato, non essendone stati richiesti, alcun verbale). Nei «colloqui confidenziali» (così hanno definito gli interrogatori) Panessa e Zagari continuano a dirci che non credono assolutamente che Pino. ed io abbiamo a che fare con gli attentati, ma che «fra noi ci sono dei “pazzi criminali” (e dagli!) e dobbiamo aiutarli a fermarli, prima che colpiscano ancora, mi chiedono con petulante insistenza, notizie sul «pazzo» Valpreda (se ho idea di dove si trovi, che rapporti ho avuto con lui e che rapporti penso intercorrano fra lui e Pino). Mi chiedono inoltre di G…, F .., di un certo. G … «pazzo» anche lui e di un certo U… R …, che non ho mai sentito nominare prima (mi fanno. capire che gli attribuiscono molta importanza, poi verrò a sapere che si trova a S. Vittore, non so bene perchè). Alludono anche ad Ivo Della Savia e ad una centrale del terrorismo anarchico a Bruxelles, dove è a loro conoscenza che il suddetto si sia rifugiato. Hanno accanto alla scrivania, una borsa di pelle o similpelle, nera, il Dr. Zagari, la apre e ne tira fuori un sacchettino di cellophan, contenente dei frammenti metallici di colore argenteo ed un dischetto, che mi fa vedere invitandomi a prenderlo in mano, al che io decisamente rifiuto (boh??!); un po’ seccato, il funzionario, rimette il tutto nella borsa e riporta la stessa al suo posto. Finito l’interrogatorio, mi ritrovo in mezzo alla babele del famigerato stanzone. Domando a Pino. come è andata per lui e scopriamo che ci hanno chiesto le medesime cose, ovvero notizie sul «pazzo» Valpreda e Pino pensa che fra poco, dovrebbero mandarci a casa.

Viene introdotto una sparuto drappello di «estremisti di destra», visibilmente spaesato in mezzo a tanti «sinistri». Qualcuno di loro, protesta per «l’inaudito affronto», di confondere dei «galantuomini» come loro, con «certa gente»: segue risata generale.

Un vecchietto, il compagno D. L., del «Sacco e Vanzetti», mostra agli agenti un foglio attestante il bisogno di ricovero urgente in ospedale; gli viene risposto in malo modo di stare zitto. Si sono fatte le nove di mattina, il salone si è quasi completamente svuotato e ci ritroviamo accanto io e Pino, e ci scambiamo qualche facezia. Pino sempre del solito umore, ride e scherza, dice che ora dovrebbero lasciarci andare e che non vede l’ora di farsi una bella dormita, poichè sono due giorni che non dorme. Alle dieci circa, le nostre strade si dividono: arriva un agente e mi dice di andare giù con lui, mentre Pinò viene nuovamente chiamato, per un ennesimo interrogatorio. Ci salutiamo e mi dice, credendo che io venga rimesso in libertà, di aspettarlo giù nella strada, fuori dalla questura, che dovrebbero mandare fuori anche lui. Purtroppo, quella è stata la ultima volta che ci siamo visti, perchè io, giunto dabbasso, mi sono ritrovato assieme ad altri compagni, in camera di sicurezza (il compagno D… L… , invitato anche lui, che reclamava per il mancato ricovero in ospedale, ad accomodarsi per cinque minuti in camera di sic., rispose che l’ultima volta che lo fecero entrare in cella, dicendogli trattarsi di cinque minuti, ci vollero degli anni, per venirne fuori!), dalla quale sono uscito; la notte di sabato, per prendere la strada di S. Vittore, mentre Pino si è trovato a dovere prendere, non so fino a che punto di sua volontà (ho i miei dubbi), la strada di una finestra al quarto piano, che lo ha portato a schiantarsi, nel pieno vigore della sua vita, nel sottostante squallido cortile della questura centrale.

Certa gente che troppo bene conosciamo, non contenta di avere, col suo comportamento ed i suoi metodi, fin troppo noti anch’essi, stroncato la vita serena e laboriosa del nostro compagno, cerca ora di infierire su di lui, anche dopo la sua misteriosa morte, mettendo in opera tutte le insinuazioni e gli artifizi di cui è capace, uniche arti in cui ha una non certo invidiabile bravura, al fine di infangare anche il uome onesto ed intemerato di Giuseppe Pinelli. Chi, come me, ha avuto modo di conoscerlo personalmente ed ha potuto constatare ed apprezzare la sua modestia, la sua generosità verso chiunque avesse bisogno di lui, il suo carattere franco e leale, alieno da ogni animosità e da ogni forma di violenza, foss’anche verbale, sente il dovere di difenderlo dalle basse ed ignobili accuse di quanti, approfittano del fatto che egli non può più parlare in sua difesa, per lanciare contro di lui, insulti bavosi, il cui scopo, probabilmente, è quello di coprire la propria finta o reale incapacità, a scoprire i veri responsabili della mostruosa strage di Piazza Fontana, dei quali egli è, assieme alle altre, una vittima innocente, poichè tali belve, sono ancora in circolazione, a dispetto di tanti roboanti e trionfanti comunicati, di certi autorevoli personaggi, con relativo vociante e schiamazzante codazzo di certa stampa di «informazione». Gli sputi, gettati in alto, come dice il noto proverbio, finiscono sempre per ricadere addosso a chi li ha lanciati.

ARDAU Sergio 

Ringraziamo il compagno Pippo di Sicilia Libertaria per averci aiutato a reperire una copia dell’ormai introvabile libro di Crocenera Anarchica, Le bombe dei padroni, Biblioteca delle collane Anteo e Rivolta, 1970 senza il quale questa testimonianza non avrebbe potuto essere riportata 

7 febbraio 1978 Gli avvocati di Pietro Valpreda denunciano l’ex Questore di Milano, Marcello Guida, per falsa testimonianza

7 luglio 2011

PRETURA DI CATANZARO

ATTO DI DENUNCIA PER FALSA TESTIMONIANZA

I sottoscritti avvocati Guido Calvi, Marco Janni e Domenico Torchia, anche a nome degli avvocati Nadia Alecci e Fausto Tarsitano, difensori di Pietro Valpreda e altri nel processo per la strage di Piazza Fontana

 DENUNCIANO

Marcello Guida, ex questore di Milano, per il delitto di falsa testimonianza commesso nell’udienza del 18 gennaio 1978 avanti la corte d’assise di Catanzaro, ed

ESPONGONO

Nell’udienza del 18 gennaio 1978 il dott. Marcello Guida, all’epoca questore di Milano, deponendo quale testimone ha dichiarato ripetutamente di non ricordare alcuni atti da lui compiuti nella giornata del 15 dicembre 1969: atti che trovano il loro momento centrale e più significativo nella esibizione al tassista Cornelio Rolandi, il quale affermava di avere trasportato una persona che poteva essere l’attentatore della banca dell’Agricoltura, di una fotografia, quella di Pietro Valpreda. Il testimone, la cui deposizione è una sequela di “non ricordo” se non addirittura di affermazioni smentite dai fatti, come quella relativa alla taglia di 50 milioni che egli non può non ricordare essere stata comunicata alla stampa nella stessa giornata del 15 dicembre, a proposito della fotografia di Pietro Valpreda ha detto: “Ripeto quanto ho già detto nell’udienza del 24 maggio 1974, che non ricordo se a Rolandi fu mostrata una foto di Valpreda. Dato il superlavoro a cui ero stato assegnato in quei giorni sono dettagli che mi sfuggivano nel 74 e a maggior ragione mi sfuggono ora”.

L’esibizione della fotografia di Valpreda, però, non appartiene ai dettagli di quella giornata; al contrario, essa appare strettamente collegata a una meditata decisione del vertice della questura milanese e, del resto, ne sono attenti e memori testimoni il col. Favali e il magg. Ciancio dei carabinieri, oltre al dott. Zagari dell’ufficio politico della questura.

Col. Aldo Favali (udienza del 18/1/78): “Prima che al Rolandi venisse mostrata la fotografia di Valpreda, io giungendo dal gabinetto del questore avevo detto al questore che quello era l’autista che si era presentato, lo aveva reso edotto della ricognizione che avevo fatto e lo ho ragguagliato di quanto Rolandi aveva riferito. Al termine di questo discorso il questore prese dal tavolo la foto e la mostrò a Rolandi dicendogli: “E’ questa la persona che lei ha accompagnato?” E il Rolandi disse: “sì, però era più magro” (nella deposizione istruttoria del 12 gennaio 1970 il col. Favali aveva aggiunto: “Il dr Zagari rispose che la fotografia non era recente”).

Mag. Giampietro Ciancio (udienza del 13/1/78: “Giunti nel gabinetto del questore il col. Favali riferì quanto il Rolandi aveva a noi dichiarato ed a un certo momento il questore prese dal tavolo una fotografia che si trovava con la parte bianca verso l’esterno e la esibì al Rolandi dicendo all’incirca: “E’ questa la persona da lei trasportata?” Il Rolandi rispose: “Sì, però la persona da me trasportata era più scarna e più stempiata”.

Dott. Beniamino Zagari (udienza del 18/1/78): “Io ricordo che mi fu chiesto per telefonò di reperire a foto di Valpreda e mi pare che tale richiesta fu fatta dopo che il Rolandi fu accompagnato nel gabinetto del questore ove io mi trovavo”. E nell’udienza del 30 maggio 1974 (deposizione confermata e allegata al verbale del 18/1/78): “Non ricordo a che ora fui chiamato, tramite centralino, non ricordo da quale funzionario di reperire una fotografia del Valpreda che era stato accompagnato a Roma un paio d’ore prima. Attraverso gli schedari, le carte d’identità o (di) altri documenti, non so quali, recuperai questa fotografia che portai nella stanza del questore”.

Di questi fatti, il cui accadimento è fuori discussione, il dott. Guida è stato, prima che testimone, protagonista principale, e non è assolutamente credibile che egli non ne abbia conservato alcun ricordo. Senza entrare nel merito, in questa sede, delle implicazioni processuali dell’atto compiuto dal questore, è cero che fu lui, nell’ambito del coordinamento delle indagini,che gli spettava, a chiedere o a far chiedere da funzionari del suo ufficio che gli fosse portata una fotografia di Valpreda, fu lui a tenere la foto presso di sé, posata sulla sua scrivania, fu lui, personalmente, a mostrarla a Rolandi, accompagnando il gesto con la frase: “è questa la persona da lei trasportata?”.

E se un dubbio dovesse rimanere sul carattere non occasionale, non di routine, non di dettaglio, dell’atto compiuto dal questore, basta aggiungere che, subito dopo, egli fu attivo protagonista di una comparazione tra la fotografia di Valpreda e l’identikit tracciato dai carabinieri sulla scorta della descrizione fornita da Rolandi. Il col. Favali (sempre nell’udienza del 18/1/78) a domanda risponde: “La comparazione tra lo identikit e la fotografia fu fatta dalle persone che si trovavano nell’ufficio del questore e cioè il questore, io, il cap. Cima e Ciancio. Tra i presenti vi era Rolandi. Ma il giudizio che vi fosse una certa rassomiglianza fu espresso dal questore e da me”. E il magg. Ciancio aggiunge “Sia l’identikit che la foto fu messa sul tavolo del questore e dall’esame fu fatta una comparazione”.

L’ex questore, naturalmente, ha dovuto negare anche il ricordo di questa comparazione e del giudizio di somiglianza che egli stesso, sostituendosi a Rolandi, ritenne di manifestare.

Ma non basta. Non si può credere alla mancanza di memoria del dott. Guida, anche se molti erano i suoi impegni e molti sono gli anni trascorsi da allora, perchè sappiamo indubitabilmente che Rolandi venne accompagnato a Roma (la ricognizione è del 16 dicembre) per iniziativa della questura milanese, la quale era appena giunta alla conclusione che il passeggero descritto dal tassista corrispondesse ai connotati di Valpreda. E non si tratta di nostre induzioni, per quanto logiche e ineccepibili, perchè di ciò esiste una conferma documentale, della quale il dott. Guida ha avuto lettura. In un rapporto del dott. Zagari alla procura della repubblica di Milano, in data 15 dicembre (vol. I, parte II, foglio 407) si legge: “Poiché dalla descrizione fornita dal tassista sui connotati del medesimo, appare che essi si presentano pressappoco identici a quelli del Valpreda, nella mattinata di domani il commissario Capo dr. Antonino Allegra si porterà, con il Tenente dei CC. Sig. Giampietro Ciancio e col tassista, in aereo, a Roma per le urgenti ricognizioni e contestazioni del caso, alla presenza di Magistrati romani”.

Dunque: l’esibizione della fotografia di Valpreda e il successivo giudizio di comparazione tra la fotografia e l’identikit del passeggero di Rolandi, costituiscono addirittura l’antefatto, la premessa della decisione di far accompagnare Rolandi a Roma per una ricognizione di persona su Valpreda.

E fu personalmente il questore, come dichiara il col. Favali nella deposizione istruttoria del 12 gennaio 1970 (vol. III, parte II, foglio 90) a occuparsi di questo trasferimento: “Verso le ore 20 ebbi a ricevere una telefonata dal questore con cui mi diceva che il Rolandi doveva essere accompagnato a Roma urgentemente. Dopo circa un quarto d’ora, mi telefonò nuovamente il questore, affermando che il Rolandi a seguito di una telefonata fatta da un certo prof. Paolucci alla questura, era stato ricondotto in questura da agenti che si trovavano ad attenderlo presso la sua abitazione, non essendo a conoscenza degli ulteriori sviluppi delle indagini. Mi portai nuovamente in questura ed assieme al questore pregai il Rolandi di recarsi a Roma per un atto di riconoscimento. Il Rolandi aderì con il consenso della moglie presente ed in tale circostanza io l’ammonii formalmente di agire secondo coscienza, di non farsi influenzare, se era sicuro del riconoscimento doveva dire si, se era incerto esprime i suoi dubbi, se non lo riconosceva dire apertamente di no. Aggiunsi pure che il suo atto assumeva una enorme importanza e di non tener conto che nel frattempo era stata pubblicata la notizia della taglia”.

Ripetiamoci. Fu proprio quell’esame fotografico a permettere alla questura di Milano di supporre che Pietro Valpreda e il passeggero del taxi di Rolandi potessero essere la stessa persona e, quindi, a far maturare la decisione di procedere alla ricognizione di persona davanti alla procura della repubblica di Roma.

Se dunque la reticenza è provata in modo evidente, non meno evidenti appaiono i motivi che hanno indotto il dott. Marcello Guida a commettere il delitto di falsa testimonianza.

L’ex questore di Milano, ammettendo i fatti riferiti da funzionari di polizia e ufficiali dei carabinieri, avrebbe dovuto rendere ragione di un comportamento a prima vista inspiegabile.

La polizia milanese aveva fermato Pietro Valpreda verso le ore 11 del 15 dicembre a seguito di una specifica richiesta del dott. Provenza, capo dell’ufficio politico della questura di Roma.

Nella sua deposizione del 21 gennaio 1978 e in quella, confermata, del 18 aprile 1974, il dott. Provenza ha dichiarato: 1) che verso le 22,30 – 23 del 14 dicembre 1969 egli richiese alla questura di Milano il fermo e il trasferimento a Roma di Pietro Valpreda; 2) che tale richiesta era giustificata dalle dichiarazioni di Merlino e dell’agente Ippolito alla polizia romana; 3) che egli non comunicò alla questura di Milano né il contenuto di quelle dichiarazioni né le ragioni della sua richiesta; 4) che in ogni caso la Polizia romana non aveva raccolto alcun indizio, anche soltanto per sospettare una partecipazione di Valpreda all’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Milano, cui si riferiva la testimonianza del tassista Rolandi.

Il questore, perciò, non disponeva di alcun elemento, neppure indiziario, che collegasse la persona di Pietro Valpreda all’attentato alla Banca dell’Agricoltura; ciononostante, nel pomeriggio del 15 dicembre, egli aveva sul suo tavolo una sola fotografia, quella appunto di Pietro Valpreda, e la mostrò a Rolandi.

Un gesto gravissimo, con cui egli dava a intendere di reputare, senza ragione, fortemente compromessa la posizione di Pietro Valpreda (tanto è vero che nel verbale di fermo si legge, e nessuno ha mai spiegato perchè: “gravemente indiziato del reato di strage”).

Il dott. Guida, dunque, ha mentito perchè, altrimenti, avrebbe dovuto riferire alla corte d’assise le ragioni, tuttora non documentate nel processo ma certamente esistenti, della decisione di mettere i ricordi di Rolandi a confronto privilegiato con le sembianze di Pietro Valpreda, ponendo le premesse e nello stesso tempo ipotecando l’esito della ricognizione di persona. Egli non può aver dimenticato una iniziativa che lo ebbe protagonista e che valse il 15 dicembre 1969, a collocare Valpreda al centro delle indagini: e con tale deliberata insistenza che nel corso di quella stessa sera, in quella stessa questura, proprio una confessione di Valpreda, che questi non aveva mai resa, sarà brutalmente rinfacciata ad un altro fermato, Giuseppe Pinelli.

 

Allegati

1) verbale udienza dibattimentale 18 gennaio 1978 e relativi allegati;

2) verbale udienza dibattimentale 21 gennaio 1978;

3) verbale deposizione istruttoria 12 gennaio 1970 del col. Favali;

4) rapporto 15 dicembre 1969 del dott. Zagari;

5) verbale udienza dibattimentale 18 aprile 1974.-

 

Catanzaro, lì 7 febbraio 1978