Forse abbiamo fatto un errore: siamo stati troppo teneri col commissario aggiunto di P.S. Luigi Calabresi, abbiamo permesso che su di lui si ridesse, si ammiccasse, nascesse il luogo comune, si sviluppasse l’ironia; abbiamo consentito che la cosa venisse scambiata per un gioco duro, magari, ma divertente nonostante tutto. E questo è un male, perché qualcuno ha forse potuto pensare che si trattasse di uno scherzo; e lo deve aver pensato anche Luigi Calabresi, perché altrimenti non si sarebbe permesso di fare quello che invece ha fatto; il fatto di continuare a vivere tranquillamente, di continuare a fare il suo mestiere di poliziotto, di girare indisturbato per Milano, di continuare a perseguitare i compagni e proteggere i suoi complici; il fatto, infine, di aver querelato per tre volte «Lotta continua». Facendo questo però si è dovuto scoprire; il suo volto è diventato abituale e conosciuto per i militanti che hanno imparato ad odiarlo; la sua funzione di sicario è stata denunciata alle masse, che hanno incominciato a conoscere i propri nemici di persona, con nome e cognome e indirizzo. E questo è importante e utile. E il primo risultato è che ora verrà trascinato in un’aula del tribunale a rispondere del suo delitto. E’ chiaro a tutti infatti, che non sarà certo «Lotta continua» a sedersi sul banco degli imputati, a giustificarsi per averlo diffamato, ma sarà Luigi Calabresi a dover rispondere pubblicamente del suo delitto contro il proletariato. E il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell’assassinio di Pinelli, e Calabresi dovrà pagarla cara,
Anche su questo terreno infatti, gli sfruttati dimostrano, giorno dopo giorno, di voler passare, senza più indugi e ritardi, dall’urna della critica (e dell’ironia e della vignetta) ad una critica più radicale e definitiva, che si esprima attraverso la capacità del proletariato di utilizzare la violenza di massa contro i propri nemici e per la propria liberazione. E la violenza di massa è oggi strumento di attacco, mezzo con cui gli sfruttati fanno giustizia e amministrano la propria legge: l’unica, che in quanto appartiene al popolo, è giusta e rivoluzionaria.
Siamo in una fase in cui queste parole non sono più frasi vuote ed astratte, ma entrano concretamente e materialmente a far parte dell’esperienza di lotta e di organizzazione del proletariato. E se l’esecuzione del poliziotto torturatore Dan Mitrione da parte di un tribunale rivoluzionario, può essere relegata e dimenticata dai borghesi e da tutti i legalisti come episodio « esotico e selvaggio» di un paese lontano, la cattura e la punizione dei fascisti di Trento da parte dei proletari in lotta, è per i nostri nemici qualcosa di più di un avvertimento; è la realtà concreta, vicina, palpabile di ciò che li aspetta, di ciò a cui vanno incontro. La gogna dei sicari a Trento e l’esecuzione di Dan Mitrione non sono episodi diversi, uno «antifascista e italiano», l’altro «banditesco e terzomondista»; sono fasi successive di un processo unico: quello dell’emancipazione del proletariato, che passa necessariamente attraverso la soppressione dei nemici di classe. Il fatto che oggi in Italia la prima di queste fasi sia già praticabile e attuata, ha messo giustamente paura alla borghesia; la fase dell’esecuzione materiale della giustizia proletaria (che avvicina anche i tempi della lotta armata) forse non è ancora imminente. Ma è certamente già prevedibile.
E’ per questo motivo che nessuno (e tanto meno Calabresi) può credere che quanto diciamo siano facili e velleitarie minacce. Siamo riusciti a trascinarlo in tribunale e questo è certamente il pericolo minore per lui, ed è solo l’inizio. Il terreno, la sede, gli strumenti della giustizia borghese, infatti, sono giustamente del tutto estranei alle nostre esperienze, alle nostre lotte; alle nostre idee e non è certamente dalla legge dello stato capitalista che ci attendiamo la punizione di un suo servo zelante; non dai giudici «progressisti ed onesti»; non da un dibattimento i cui codici, norme e regole, create dalla borghesia per controllare gli sfruttati, non possono essere utilizzati dai proletari, ma solo da questi distrutti.
Ma dentro l’aula della prima sezione, dentro il tribunale, attorno ad esso, nelle strade e nelle piazze, il proletariato emetterà il suo verdetto, la comunicherà e ancora là nelle strade e nelle piazze, lo renderà esecutivo. Calabresi ha paura, ed esistono validi motivi perché ne abbia sempre più. Quando gli sfruttati rompono le catene dell’ideologia borghese e praticano le proprie idee, la forza dell’esempio diventa dirompente; i proletari di Trento che hanno rifiutato la legalità borghese per assumere quella rivoluzionaria, hanno compiuto il primo processo e la prima esecuzione. L’imputato e la vittima del secondo è già da tempo designato: un commissario aggiunto di P.S., torturatore ed assassino. Sappiamo che è solamente un servo, un esecutore del progetto dello stato capitalista di repressione del proletariato; sappiamo che dentro tutto l’apparato statale, nel governo, nel parlamento, nell’esercito, nei partiti, nei sindacati, esistono mille Calabresi, criminali quanto e più di lui, che ogni giorno con le armi, con la violenza, con l’inganno, con la fatica, con le false illusioni opprimono il proletariato, lo sfruttano, lo ingabbiano; e sappiamo quindi che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli sfruttati; ma è questo, sicuramente, un momento e una tappa fondamentale dell’assalto del proletariato contro lo stato assassino.
Luigi Calabresi, commissario aggiunto di P.S., 30 anni, abitante a Milano, in via Largo Pagano (la casa è riconoscibile perché segnata di scritte, ora cancellate, e perché vi staziona davanti una macchina con un poliziotto in borghese). Il numero di telefono non è riportato sull’elenco ma fino a poco tempo fa, su richiesta, veniva comunicato dal centralino. Stipendio «dichiarato»: 160 mila lire al mese. Sposato e padre di una bambina. Agente del S.I.D. (ex SIFAR) e della C.I.A. Torturatore di alcuni compagni, assassino di Giuseppe Pinelli, complice degli autori della strage di Milano. Collaboratore del consigliere istruttore Antonio Amati. Pubblicista collaboratore nel ’66 della «Giustizia», organo ufficiale del Partito Socialista Democratico Italiano (oggi PSU; il partito di Saragat). Sempre nel ’66 fa un viaggio in America dove frequenta un corso di specializzazione presso la C.I.A.
Nel ’67 a Roma fa l’accompagnatore del generale Edwin A. Walker, consigliere militare del fascista Barry Goldwater. Presenta il generale ai colleghi italiani Aloia e De Lorenzo.
Partecipa a riunioni segrete con questi nella casa di De Lorenzo, in via di Villa Sacchetti 15. Dopo l’attentato fascista del 25 aprile Luigi Calabresi procede all’arresto di cinque anarchici e in carcere notifica loro il mandato di cattura; compie personalmente perizie grafologiche sugli arrestati, senza l’intervento della difesa, ne trasporta uno nel bergamasco perché indichi, dietro minacce, la cava da cui avrebbe rubato dell’esplosivo (furto peraltro inesistente). Luigi Calabresi, il commissario Zagari, e gli agenti Muccilli e Panessa torturano in questura con schiaffi, colpi alla nuca, pugni, torsione dei nervi del collo e minacce il compagno Paolo Faccioli, costringendolo a firmare un verbale falso di autoaccusa.
La sera del 12 dicembre, tre ore dopo gli attentati, dichiara che «i colpevoli sono gli anarchici» poi va al circolo anarchico di via Scaldasole e preleva Pinelli. Durante il tragitto chiede di «quel pazzo sanguinario di Valpreda». In questura dirige gli interrogatori di Pinelli insieme a Sabino Lo Grano, Vito Panessa, Carlo Mainardi e Mucilli. Domenica 14 Pinelli è ancora trattenuto illegalmente in questura e dice ad un altro fermato di sentirsi perseguitato da Calabresi. Dalla stanza in cui Pinelli continua ad essere interrogato provengono rumori «come di una rissa». Poco dopo la morte di Pinelli; Calabresi dice ad un fermato di essere stato presente al momento della caduta. Insieme a Vito Panessa sostiene che Pinelli era un delinquente ed era coinvolto negli attentati del 25 aprile. Successivamente la questura affermerà che Calabresi si trovava al momento della morte di Pinelli nell’ufficio di Antonino Allegra. Parecchi mesi dopo Calabresi compie una perquisizione nella casa di Milano di un agente del KYP (la sezione greca della CIA); la perquisizione, secondo Calabresi, è negativa in quanto non consente di scoprire elementi rilevanti. Poi si viene a sapere che nella casa del suddetto agente sono state trovate cassette metalliche simili a quelle della bomba della Banca Commerciale, un timer anch’esso simile, armi e pallottole.
Il 9 ottobre Luigi Calabresi comparirà davanti alla 1 sezione del tribunale di Milano, presieduta dal consigliere Biotti, Pubblico Ministero Guicciardi, per rispondere dell’assassinio di Giuseppe Pinelli. Luigi Calabresi è difeso dall’avvocato Lener, già difensore dei poliziotti che nel luglio ’60 a Reggio Emilia mitragliarono i proletari ammazzandone 6, difensore di Felice Riva sfruttatore di operai, bancarottiere e attualmente turista nel Libano, e ancora difensore del fascista Guareschi e dell’ammiraglio (ugualmente fascista) Trizzino.